Claudio e il linfoma, storia di una scalata in vetta

    Claudio e il linfoma, storia di una scalata in vetta

    Era il 2017, la mia vita scorreva tranquilla, mi allenavo e salivo su e giù da tutti i monti che potevo. Il trekking, l’alpinismo erano le mie passioni e il mio sogno proibito un 8.000 mt, si magari l’Everest. Arriva Pasqua e vado in pronto soccorso, per fortissimi dolori alla schiena, pensavo ad una colica renale, ma invece nulla, solo la milza ingrossata mi dicono i medici. Dovrò ricontrollarla dopo 10grioni. In questo periodo stavo bene, qualche raffreddore di troppo e un po' di stanchezza, in fondo lavoravo molto, spesso in acqua, mi allenavo, era normale. 

    Arriva il giorno dell’ecografia, oltre alla milza ingrossata, c’erano ingrossati praticamente tutti i linfonodi del mio corpo, il medico mi rassicura ma mi nomina una malattia che non avevo mai sentito prima, “potrebbe essere un linfoma, tac d’urgenza”. Il giorno dopo, ero già a Roma per la Tac e 48 ore dopo avevo fatto anche la PET. La diagnosi definitiva doveva arrivare dalla biopsia di un linfonodo, ma il quadro era sempre più quello di un linfoma. Nel mediastino ne avevo così tanti e grandi che quasi mi stavano occludendo l’aorta addominale. Biopsia di urgenza e anticoagulanti, riposo totale e attesa della risposta, forse il mese più lungo della mia vita e della mia famiglia, un mese che è durato una vita, quella vita che sentivo non avere più, quella normalità che era diventata anormalità. 

    Paura e senso di vuoto e solitudine erano gli unici sentimenti che provavo, anche se la mia compagna e la mia famiglia mi facevano sentire sempre coccolato e cercavano invano di rassicurarmi. Finalmente l’esito della biopsia, linfoma non Hodgkin diffuso, con cellule “Hodgkin-like”. Quindi avevo due linfomi? Vista la diagnosi, mi consigliarono una revisione della biopsia, il quadro questa volta era l’opposto, tutto faceva credere ad un linfoma di Hodgkin classico. Mi sentivo sempre più perso. Gli ematologi decidono di curare il linfoma a loro detta più pericoloso, il non Hodgkin. Inizio le cure 6 cicli di CHOP + 8 di farmaco biologico. Era tutto così nuovo ed inaspettato, pauroso, non so se avessi più paura della malattia o della chemio, ancora oggi non lo so. 

    Basta pensare, finalmente mi curo, mi dicevo. Tra un problema e l’altro arrivo finalmente alla fine, il cortisone e l’immobilità, abbinata all’apatia e alla stanchezza, mi avevano trasformato, da un uomo atletico di 75kg a un uomo stanco e provato di 110kg. Non importava, l’importante era che la PET di fine terapia fosse buona. Ero in remissione totale, sono rinato, mi sembravo un'altra persona, credo che dai miei pori uscissero felicità e sorrisi. Adesso devo riprendermi la vita, mi rimetto in carreggiata, comincio ad allenarmi, dieta, sport, ma nella mia testa sempre l’ombra di questa malattia subdola. La scacciavo ma tornava ed ancora oggi è presente. Ricomincio con i trekking, le lunghe camminate, pensando che presto tornerò a raggiungere il mio sogno. Torno in forma più di prima, mi sono ripreso la vita, il lavoro, tutto sembra perfetto, mi sento un leone.

    Purtroppo, non era così, dopo circa 18 mesi, una telefonata di un pomeriggio primaverile (marzo 2019) mi riporta nelle tenebre più buie e profonde: la TAC di controllo aveva evidenziato una massa di 5cm nel mio torace. Di nuovo nessun segno, nessun sintomo. È stato come essere preso sotto da un treno, più grande e veloce della prima volta, non potevo crederci, sono stato una notte a piangere, perché stavolta ero consapevole di quello che avevo e che il primo round lo aveva vinto lui.

    Mi incontro con i medici e si decide subito per una biopsia mediastinica e nuova valutazione, visto i dubbi della precedente. Questa volta no, la mia vita non si fermerà, non indietreggerò nemmeno di un passo dicevo, non andrò avanti ma nemmeno indietro. Lo so, si sono sbagliati è impossibile. Invece no, la biopsia conferma il linfoma, stesso dubbio della valutazione precedente, ma il quadro sembra propendere per Hodgkin questa volta. Chemio di salvataggio e autotrapianto, sperando che il mio corpo regga! Speriamo che regga la mia testa. Le terapie erano più dure, stavo male per giorni, ma non ho mai fatto un passo indietro, non volevo rinunciare a nulla. Certo non riuscivo ad allenarmi, ma continuavo a lavorare, continuavo a prestare soccorso come soccorritore sulle ambulanze di 118, continuavo ad avere una vita sociale. In realtà facevo tutto questo per non pensare, non pensare a cosa sarei andato incontro, a quanto dolore avrei ancora provato, al dispiacere di dover abbandonare ancora una volta le mie passioni. 

    Fine novembre entro in camera sterile, ancora ricordo che feci un video illustrativo, stavo bene e mi sentivo stranamente tranquillo, era la quiete prima della tempesta! Il giorno seguente iniziava la chemio ad alte dosi, la nausea mi accompagnò per tutti i 19 giorni, piano piano mi spensi, non riuscivo a mangiare, le forze sparivano, riuscivo a malapena ad andare al bagno. Stavo scalando il mio 8.000 mt, cercavo di non mollare, rimanevo attaccato ai ricordi dei miei cari e della vita lasciata fuori da quella porta. Ogni giorno che passava diventava più dura ed ogni giorno la paura che non sarei mai uscito diventava sempre più reale. Vedere la mia compagna e i miei familiari mi sollevava ma allo stesso tempo mi causava dolore, perché non volevo che mi vedessero così.

    Dopo 11 giorni dal trapianto autologo di CSE finalmente il mio midollo era ripartito, finalmente tornavo a vedere la luce, finalmente pensavo che tutto fosse finito. In parte era così, torno a casa pochi giorni prima di natale, 13 scalini per arrivare alla porta li ho fatti in due riprese, riuscivo a camminare appena. Piano piano comincio a riprendermi fisicamente, finalmente torno in piedi, finalmente la PET dei 100 giorni, finalmente si torna alla normalità. La PET è negativa, sono di nuovo in remissione, per ora l’incubo sembra finito, posso riprendermi la vita, siamo a marzo 2020. Devo riprendermi la vita, subito, devo recuperare il tempo perso, devo rimettere in forma il mio fisico, devo dimostrare ai miei cari , alla mia compagna che non ho mai mollato

    Quello stesso mese a 100giorni dal trapianto, sono in prima linea nella lotta alla pandemia, con la mia divisa, 7 giorni su 7. Sono un volontario della Croce Rossa, aiutiamo le persone quando c’è bisogno! Oggi sono passati due anni e sono ancora in remissione totale. Ho ricominciato a scalare montagne, correre, fare trekking, sono tornato più in forma di quando avevo trent’anni. Il nostro corpo è capace di cose incredibili ed inaspettate, così come la nostra mente. La mia vita è cambiata in questi tre anni, alcune cose in meglio altre in peggio, ma è la normalità della vita. Non rincorro più il sogno degli 8.000 perché il mio 8.000, l’ho scalato in questi tre anni e la camera sterile è stata la vetta.

     

     Grazie Claudio 

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