La storia di Alessandro

    La storia di Alessandro

    La prima settimana di giugno dovevamo andare al mare.
    L'ultima vacanza in tre; a fine luglio sarebbe arrivata Giulia, la nostra seconda figlia. Quella doveva essere l'estate dei grandi cambiamenti. Alessandro, due anni e mezzo, doveva togliere il pannolino, a settembre avrebbe iniziato l'asilo. Ma la vita, abbiamo imparato, riserva sempre grosse sorprese, nel bene e nel male.
    Già in occasione del primo Maggio eravamo in Liguria per un assaggio di mare. Le foto di quei giorni raccontano di un Alessandro felice, sano, già forte e sicuro nell'affrontare discese e gradini.
    Tornati a casa sono bastati pochi giorni per notare grossi cambiamenti in nostro figlio.
    Ale ha iniziato ad accusare una forte stanchezza, non lasciava mai il passeggino, non voleva più uscire, non faceva più i suoi amati gradini... consultata la pediatra, lo portai a fare gli esami del sangue. Era il 4 giugno 2009: quella mattina il primo brivido lo provai nel reparto di pediatria del nostro ospedale.
    L'infermiera, appena vide mio figlio, rimase impressionata per quanto era pallido. Noi che lo vediamo tutti i giorni non ci siamo resi conto fino a quel momento che la sua carnagione chiara stava diventando un esagerato pallore? Cercai di cancellare subito l'espressione di quella infermiera...ero già scioccata per le urla di mio figlio tenuto da ben quattro donne.
    A mezzogiorno suonò il mio cellulare. Ero a casa da sola perché Ale aveva chiesto di pranzare dai nonni. Provai un tonfo al cuore quando vidi il numero della pediatra; capii subito che non c'era nulla di buono in quella fretta di comunicarci gli esiti degli esami.
    Alle tre del pomeriggio eravamo nel Day Hospital di ematologia pediatrica del S.Gerardo di Monza.
    Ale ha continuato a chiedere per tutto il viaggio se stavamo andando al mare; come spiegargli che la sua vita stava per cambiare drasticamente: niente mare, niente asilo, niente. Uno stop di durata indefinita.
    Quel corridoio in DH sembrava lunghissimo, le attese erano lunghissime. L'ho percorso mille volte con le lacrime, con una pancia che non si muoveva più; anche Giulia si era fermata, come volesse capire cosa stesse succedendo a suo fratello, a tutti.
    Confesso che solo alcune settimane dopo capii che ero in effetti in DH quel maledetto giorno, senza immaginare che sarebbe poi diventata la nostra seconda casa.
    Non uscii più dall'ospedale per 12 giorni. Ale voleva solo la mamma, neppure il suo adorato papà riusciva a consolarlo. Come biasimarlo. Pur consapevoli di essere lì per salvare nostro figlio, con occhi di genitori abbiamo visto fare su di lui ciò che nessuno mai augurerebbe al suo peggior nemico. Le vene non reggevano più di mezza giornata; è stato bucato in ogni dove e io non potevo sottrarmi a quell'operazione, impotente mentre urlava “BASTA” alle infermiere.
    Appena le sue condizioni lo hanno permesso, ci hanno consigliato di affrontare tutte le terapie con un catetere al petto. E così abbiamo fatto.
    Ci sono state chieste, consigliate, spiegate tante cose nei primi giorni di ricovero; troppe per due genitori che vogliono il meglio per i propri figli e stanno invece affrontando il peggio, troppe per una mamma che ha in pancia la vita.
    Ti manca la terra sotto i piedi e ti scontri con personalità forti e sicure di medici che affrontano ogni giorno simili tragedie, vivendole come nuove sfide, che puntano a trasformare in vittorie.
    Per noi ovviamente non era così; si alternano dolore, rabbia, paura, incredulità.
    Ci sono parole che mi resteranno impresse nella memoria per sempre, quasi fastidiose nella circostanza in cui sono state pronunciate, ma importanti e terribilmente vere: “siete stati fortunati, la leucemia che ha colpito vostro figlio è la più comune e con la più alta percentuale di guarigione...”;
    “il cortisone trasformerà vostro figlio in maniera significativa, avrete l'impressione di farlo star male, ricordatevi invece che la leucemia lo stava uccidendo, non i farmaci”.
    Da quel giorno la vita di tutti è cambiata; Ale non poteva stare a contatto con gli animali, così i nonni hanno regalato la loro gatta ad una nipote e tenuto legato il loro cane quando la salute di Ale ci permetteva di andare a trovarli; abbiamo cambiato la nostra dieta eliminando i salumi, le verdure crude e tante altre cose che non sono più state messe in tavola per nessuno; nostro figlio non poteva entrare in luoghi affollati, fonti di ogni sorta di virus e batteri; persino casa nostra ci sembrava inadatta ad ospitare un bambino che all'improvviso necessitava di notevoli attenzioni. Il tempo ci ha aiutato a misurare i limiti reali, concreti dello stile di vita che poteva reggere nostro figlio e a breve abbiamo ristretto la cerchia dei luoghi frequentabili e le attività proponibili. Si impara a vivere alla giornata e a volte non basta. La sensazione è quella di doversi fermare, quasi “smettere” di vivere per un tempo non ben definito. Ma non è così, per fortuna si va avanti, nonostante tutto.
    A due mesi dall'esordio è nata Giulia, in una settimana di pausa, per Ale, da ogni tipo di terapia, perché i suoi valori non lo consentivano. Siamo fermamente convinti che sentisse che era il momento giusto per arrivare, vivendo anche lei a suo modo il caos, le incertezze, le paure anche di chi si sarebbe occupato di Ale in mia assenza. Posso anche dire che Giulia ci ha salvato. Lei, insieme ad Ale nel limite delle sue condizioni, ci ha dato la forza di andare avanti, ci ha dato il senso delle cose, ha dato continuità e normalità ad una vita che altrimenti avrebbe avuto un vuoto di due anni, ha dato sprazzi di felicità a noi e al nostro Ale; gli album si sono riempiti di foto grazie alla Giulia; probabilmente nessuno lo avrebbe fotografato di proposito sovrappeso, senza capelli, con lo sguardo triste, spento, nostalgico di chi lotta ogni giorno per riacquistare le proprie autonomie, la voglia di giocare e scherzare, la forza di correre, la propria vita insomma.
    É forte il nostro Ale, lo è sempre stato. La sua tenera età lo ha difeso dalla durezza di quella realtà, al contrario di noi genitori che non abbiamo armi, se non la volontà di veder star bene i nostri figli, non vederli soffrire, sostenerli, cercando di nascondere le nostre più profonde preoccupazioni.
    I bambini hanno risorse incredibili, ti spiazzano per come sanno affrontare con forza anche le prove più difficili. Potrei raccontare ogni singolo giorno di questa esperienza, ogni fase di terapia con le sue conseguenze, la rassegnazione con cui Alessandro si lasciava fare tutto e “collaborava” con infermiere, dottori per rendere efficaci le cure, il mio essere diventata a poco a poco infermiera, mio malgrado (io che mi giro dall'altra parte quando faccio un prelievo del sangue).
    Tanti momenti mi scorrono davanti agli occhi, immagini indelebili che non mi danno pace, che fanno male: se mi fermo troppo a pensare, mi sembra ancora di vederlo lì, sdraiato sul divano con lo sguardo spento, perso nel vuoto, che non parla, non ride, non gioca per dieci infiniti giorni, per “colpa” del cortisone, oppure lo sento tremare tra le mie braccia mentre a poco a poco si addormenta per una rachicentesi, vedo la sala operatoria che si chiude e dall'altra parte c'è il nostro cucciolo; vedo bambini stanchi, arrabbiati, perché la vita li ha già sfidati così amaramente; sento i pianti e le urla di chi non vuole più farsi toccare, anche se a fin di bene.
    Ma se mi fermo ancora un po' a pensare, sento parole di conforto e incoraggiamento di medici e infermiere, vedo l'impegno di volontari e professionisti che cercano di strappare un sorriso ai bimbi che ogni giorno visitano il DH, sento molta solidarietà tra genitori, appoggio, sostegno tra persone che stanno affrontando tante sfaccettature di uno stesso calvario, quello di avere i propri figli malati.
    Inutile dire che questa esperienza ci ha segnato molto ed è ancora molto viva nella nostra vita, nonostante ci sforziamo ogni giorno di vivere una normalità che non c'è più da tempo e sembra non essere ancora tornata; non è facile tornare a fare tutto ciò che hai dovuto accuratamente evitare per così tanto tempo; mi fa ancora sorridere Ale che ripete più volte di aver mangiato l'insalata o la mela con la buccia o il prosciutto, enormi conquiste per lui dopo un lungo periodo di privazioni; il debutto in un supermercato, dove Ale la prima volta è quasi impazzito per l'euforia e la foga di riempire il carrello! Le cose apparentemente più banali, per noi sono state importanti traguardi che hanno segnato le tappe verso la guarigione.
    Anche l'arrivo di Andrea, lo scorso agosto, ha in un certo senso rappresentato la svolta, il cambiare pagina e cominciare un nuovo capitolo. Il suo arrivo ha indubbiamente riempito ancora di più il nostro tempo, la nostra routine, decisamente vivace, allegra, piena.
    Ma l'occhio di riguardo è ancora puntato su Alessandro, nonostante le attenzioni ora siano distribuite su tre bambini; Ale in qualche modo sarà sempre speciale, quello che guai se ha la febbre, guai se si lamenta che è stanco, guai se si spoglia se c'è un po' di vento che se no prende il raffreddore! Ovviamente cerchiamo di non essere ansiosi o stressanti, ma a volte le risposte di Ale ci fanno capire che lo siamo. Chissà se un giorno guariremo anche noi. Intanto il tempo passa ed è passato ormai un anno dallo stop terapia e a vederlo nessuno direbbe mai che il nostro bambino ha vissuto un'esperienza del genere.
    Volutamente evito di fare nomi di dottori, infermiere, personale e volontari che ci sono stati vicini in tutta questa esperienza: rischierei di dimenticare qualcuno e non me lo perdonerei, perché hanno tutti contribuito a guarire Alessandro e la nostra gratitudine è immensa per questo.
    Permettetemi invece qualche riflessione più ampia.
    Prima di questa esperienza ho lavorato per dieci anni come assistente sociale, in un servizio che si occupa di minori; mi sembrava di sapere già abbastanza, ma da genitore non nego la difficoltà di esprimere il bisogno di figure professionali come appunto l'assistente sociale o lo psicologo o l'educatore. Rivolgermi a loro è stata un'esperienza nuova, decisamente positiva e importante per superare i momenti più difficili. Lo consiglio a tutti i genitori che purtroppo si trovano a vivere un'esperienza simile. Avere un occhio esterno sui nostri vissuti aiuta ad avere la giusta misura delle cose...le montagne restano tali, ma non sono più invalicabili.
    Quando sono nati Giulia e Andrea, ho potuto effettuare la raccolta del sangue del cordone, ovviamente finalizzata a dare una possibilità in più di guarigione a nostro figlio, qualora ci fosse stato bisogno di un trapianto. Mi auguro di cuore che la raccolta e la donazione del sangue del cordone, che non comporta assolutamente nulla alle mamme se non un prelievo del sangue, sia sempre più diffusa; noi mamme dobbiamo essere le prime a sensibilizzare chi ci circonda, perché abbiamo una grande risorsa nelle nostre mani, l'esperienza dei nostri figli.
    Lascio per ultimo, ma non perché meno importante, un pensiero per le nostre famiglie; il loro appoggio è stato fondamentale per superare ogni momento difficile e per poter seguire al meglio Alessandro, senza trascurare la piccola Giulia. In particolare, i nonni ci hanno sostenuto incoraggiandoci e infondendoci fiducia e speranza ogni volta che ci sentivamo sconfitti. Sono contenta che anche il nonno Angelo, che ora purtroppo non c'è più, abbia fatto in tempo a vedere suo nipote guarito, come si augurava fin dall'inizio.
    Un grazie di cuore a tutti, al reparto di Ematologia, al Day Hospital che tuttora frequentiamo, anche se sempre più di rado, al Comitato Verga e all'AIL che invito tutti a sostenere per il prezioso lavoro che fanno per i bambini che vivono e che purtroppo vivranno esperienze come la nostra.

    Mamma, Papà, Alessandro, Giulia, Andrea.

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