La storia di Loredana - Io viva di tumore

    La storia di Loredana

    Mi sono ammalata nel novembre del 1993, avevo 31 anni.

    A seguito di alcuni disturbi respiratori il medico di base mi prescrisse diversi esami, fra cui una radiografia del torace che evidenziò tre noduli all'altezza della trachea.
    Fui ricoverata d'urgenza all'Istituto Tumori di Milano dove mi fecero una biopsia.
    Il fatto che sembrò incredibile agli stessi medici fu che, nel giro di una settimana, i noduli si erano trasformati in una massa che prendeva trachea, polmoni e spingeva il cuore.

    Ebbi il primo arresto cardiaco, a cui ne seguì un secondo quando ero già ricoverata in terapia intensiva. La diagnosi parlava di una forma molto aggressiva di Linfoma non Hodgkin.

    Mi ero trasferita da Pescara a Milano, per realizzare il mio sogno: fare la giornalista di moda.
    Al momento della malattia ero lontana da tutti, famiglia e amici.
    Mio padre, dirigente delle poste a Pescara, chiese il trasferimento a Milano e assieme alla mamma mi hanno assistito sostenendomi durante tutto il terribile percorso della malattia.

    Non ero operabile con intervento chirurgico, perché la massa si era infilata tra i diversi organi. Mentre venivo tenuta in coma vigile, fui sottoposta a un primo ciclo di chemioterapia molto blando, per vedere come reagivano le cellule tumorali a questi farmaci. Ma le cellule, come impazzite, continuavano a riprodursi.
    Tutti temevano il peggio.
    Nel frattempo mi era anche stata fatta una tracheotomia, perché le difficoltà respiratorie erano ulteriormente avanzate.
    Dopo tre settimane fui risvegliata dal coma. Al risveglio, però, ero muta (la massa tumorale si era infilata fra le due corde vocali, paralizzando quella sinistra) e la mobilità delle gambe, come pure delle mani, era praticamente nulla.
    I medici decisero di aggredire la massa tumorale con chemioterapia ad alti dosaggi (in totale, sino all'estate del 1994, 15 cicli!).

    Dopo un consulto fra gli oncologi dell'Istituto Tumori di Milano e i medici del reparto di ematologia degli Ospedali Riuniti di Bergamo, fui trasferita in questa unità per essere inserita nel protocollo sperimentale di trapianto delle cellule staminali.
    Nell'agosto del 1994 venni quindi sottoposta all'autotrapianto delle cellule staminali, prelevate dal mio stesso midollo osseo.
    Non si conosceva l'esito del trapianto, sia perché vi ero arrivata in condizioni generali disperate, sia perché all'epoca erano i primi trapianti e non si aveva una casistica sufficiente. A settembre venni dimessa, non perché la mia forma fisica fosse ottimale, ma perché le condizioni di prostrazione psicologica in cui ero caduta rischiavano di compromettere l'esito dell'intervento.

    Durante una delle visite di controllo dopo l'autotrapianto, nell'aprile del 1995, i medici temettero una ripresa della malattia. Fu un colpo tremendo: di nuovo un altro ricovero, di 15 giorni, per tutti gli esami e le verifiche necessari. Ma si trattò di un falso allarme. Da allora, non ho più preso neppure un farmaco.
    Sono passati 12 anni e sto bene!

    Oltre alla malattia, a farmi molto male è stata la perdita della voce. Anche oggi, a distanza di tanti anni e nonostante tutte le sedute di logopedia, non ho recuperato la voce di un tempo. Da bambina ho partecipato allo Zecchino d'Oro, in seguito ho cantato - come soprano - con un coro polifonico di Pescara, poi ho lavorato in televisione come giornalista e, spesso, facevo doppiaggi. Il mio mondo, la mia professione ruotavano intorno alla mia voce.

    Ho scritto un libro, "Io, viva di tumore" (Proedi Editore), per mantenere la promessa fatta a una ragazza conosciuta durante i miei ricoveri a Bergamo.
    Lei non è riuscita ad averla vinta sulla malattia, ma si è spenta serenamente, convinta fino all'ultimo istante che ce l'avrebbe fatta perché io ero stata vittoriosa sul male.

    Loredana

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