I miei sette anni di nuova vita

    Questa riflessione prende forma di getto, all’indomani dal rientro dal mio viaggio di nozze (mi sono sposata il 23 luglio 2016), mentre sorseggio la tazza di caffelatte caldo (altrimenti non è una vera colazione!) e mi guardo intorno nel silenzio della casa pronta per essere vissuta in due con un futuro tutto da scrivere, sognare e tentare di realizzare minuto per minuto.

    “Viaggio di nozze” e “futuro” nella stessa frase sono oggi parole che profumano di gioia, due entità che hanno preso forma, due doni per nulla scontati. Nel giugno del 2009 avevo 24 anni e un Linfoma di Hodgkin appena diagnosticato,  e non vedevo nulla di più lontano, incerto e meno dovuto di tutto questo.

    E, invece, è capitato. È capitato proprio a me di ammalarmi (sì, che sfiga!), ma anche di guarire (così dicono tutti i controlli, dopo 5 anni di follow up), e questa è stata davvero una enorme, immensa e benedetta fortuna.

    Sono stata subito sottoposta a sei cicli di chemioterapia ABVD presso l’Unità Operativa di Ematologia dell’ospedale di Ravenna, allora guidata dal dr. Alfonso Zaccaria.

    Qui ho incontrato persone splendide, molto preparate professionalmente e – cosa ugualmente importante – dall’enorme spessore umano.

    Fortunatamente, al termine delle somministrazioni non c’è stato bisogno di cicli aggiuntivi di chemio né di radioterapia, e dopo cinque anni di follow up sono considerata “normale”. Io non mi ci sento, in realtà, perché basta una minima stranezza o un linfonodo più ingrossato degli altri (sì, quelli sono rimasti reattivi e li sento bene) per farmi preoccupare non poco ma – di fatto – lo sono. E oggi, guardandomi indietro, sono anche felicissima di essermi riappropriata della mia normalità.

    Nonostante quelli che io chiamo “i souvenir”, cioè gli effetti collaterali che cure così devastanti inevitabilmente provocano (il sistema immunitario che non è proprio una roccaforte, anzi; lo spettro della sterilità, ma per fortuna ho fatto in tempo a sottopormi alla criopreservazione consigliatami dallo staff medico; le braccia che sento più deboli, prezzo da pagare per il sollievo di non aver inserito il port : ne ero e ne sono tuttora terrorizzata) oggi conduco una vita tranquilla, determinata a non sprecare il tempo che mi è concesso.

    Sono successe tante cose, in questi sette anni. Ero una giovane ragazza ancora acerba, uscita dall’università tre mesi prima; ora sono una donna, ho più consapevolezza di chi sono, di cosa vorrei e di ciò che posso diventare, con impegno e perseveranza.

    Ho viaggiato tanto (manca solo New York!), ho comprato casa e sono andata a vivere da sola, poi ho conosciuto Luca – mio marito - ed insieme stiamo ponendo le basi per quello che ci auguriamo possa essere uno splendido futuro assieme. 

    Sono diventata volontaria AIL della sezione di Ravenna, realtà che ho conosciuto grazie all’esperienza della mia malattia, e ne sono felicissima perché mi ha regalato amicizie sincere. Una su tutte: Valeria. Sempre a Ravenna, ho cofondato il gruppo Girl Geek Dinners, che ha -fra le altre cose- la finalità di favorire il networking fra professioniste e sensibilizzare a proposito di women empowerment.

    Sono diventata giornalista pubblicista, realizzando un sogno che coltivavo fin da quando ero bambina. Sono anche blogger (prima della malattia curavo un blog che, dopo un periodo di silenzio, è evoluto in quello attuale). 

    On line parlo della mia esperienza positiva (perché so benissimo di quanto ce ne sia bisogno, quando si è ancora dentro al tunnel e la luce che si vede è al massimo quella di un treno che ti corre addosso), e di come mi sono riappropriata della mia esistenza con le unghie e con i denti, con una fame che – forse – può avere solo chi ha realizzato di poter morire davvero.

    Poi, oltre a parlare del mio vissuto di malata oncologica, condivido le tante cose belle che via via la vita mi sta regalando e racconto anche storie vere di donne artefici del proprio destino. Perché leggerle sia di esempio alle giovani generazioni e monito a non lasciarsi vivere passivamente (chi è stato malato e chi lo è tuttora capirà certamente l’urgenza di cui sto parlando, quella di non sprecare neppure un secondo prezioso in qualcosa che non serva a migliorare noi e non aggiunga senso alla nostra esistenza).

    Di queste interviste sono molto fiera. Ascolto le storie e le pubblico anche per me stessa, per ricordarmi una volta in più (se mai ce ne fosse bisogno) che avercela fatta non è stato per nulla scontato né dovuto. Sono stata fortunata. E questo è un modo per dare un senso alla mia guarigione.

    Mi chiedo spesso come sarebbe finita senza la ricerca, o con più sfortuna. E provo a vivere di conseguenza. 

    Questa è la mia storia, fino a qui. Non ho parlato di sintomi, di paure, di vomito e nausee, di capelli caduti e dello sforzo di essere e sentirsi femmina e femminile, perché credo che quelli si equivalgano per tutti. Non devo descriverli io perché penso non aggiungano nulla per chi li sta vivendo o li ha vissuti. Non devo descrivere io gli sguardi compassionevoli degli estranei e quelli impauriti dei familiari; sappiamo bene di cosa stiamo parlando.

    Quello che mi impegno a descrivere è mio dopo, tutto quello per cui ne è valsa la pena, ciò per cui sono grata di essere guarita. Preferisco concentrarmi sul dovere di non tradire me stessa durante questa seconda opportunità che mi è stata data, perché è anche un modo per non tradire chi questa possibilità non l’ha avuta.

    Sono ancora qui, e certamente guardo e vivo la vita con occhi diversi. Sono uno dei tanti esempi che dimostrano che si può guarire e tornare a stare bene e, con un po’ di fortuna, anche tornare a volare!! È ciò che auguro a chiunque stia attraversando ciò che ho vissuto io.

    Buona fortuna e buona vita a tutti.

    Valentina Crociani

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