manifestazioni

Il medico di famiglia

Il medico di famiglia (o medico di fiducia, medico di medicina generale, medico di base) è la persona scelta da ciascun cittadino per garantirsi l’assistenza nell’intervento sanitario di primo livello, l’assistenza all’esterno dell’ospedale.
A differenza dello specialista, il medico di fiducia cura la salute dei suoi pazienti nel complesso, conosce ed educa i suoi assistiti alla salute.
I medici di base hanno un ruolo chiave nella prevenzione, diagnosi precoce dei tumori, rinvio del paziente presso i centri specialistici e monitoraggio dei presidi terapeutici.
Il medico di base ha un importante ruolo soprattutto nella cura del paziente anziano, perché deve saper discernere ed individuare le varie interazioni tra stato cognitivo, influenze psicologiche e stato delle malattie.

In campo ematologico la funzione del medico di base può essere duplice:

  1. deve saper individuare gli eventuali problemi ematologici ed indirizzare il paziente presso centri specializzati nella cura di patologie onco-ematologiche
  2. deve poi collaborare con lo specialista nell’assistere a domicilio il malato per le sue necessità.

Sta assumendo sempre maggiore importanza il coinvolgimento del medico di base nell'assistenza al paziente in fase molto avanzata. Rappresenta infatti un interlocutore irrinunciabile per la gestione dei problemi sanitari e psicosociali dei pazienti anziani in fase terminale.

Il ruolo del medico nell’ambito geriatrico ematologico deve essere quello di collaborare con lo specialista ematologo, per individuare l’eventuale insorgenza di altre patologie diverse dal problema ematologico in atto.
Deve inoltre saper indirizzare il paziente presso le strutture sanitarie più adeguate per la risoluzione dei diversi problemi di salute, considerando le diverse fasi della malattia.

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L'Assistenza domiciliare ematologica

L’assistenza domiciliare è svolta da operatori sanitari con diverse specialità, che propongono un nuovo modello di assistenza, le cure palliative.
Queste consistono in un’assistenza globale, che comprende un’attenzione fisica, psichica, sociale e spirituale al paziente e alla sua famiglia e viene centrata, non più sulla cura della malattia specifica, ma sulla qualità di vita del paziente.

L’assistenza domiciliare consente di garantire al malato una continuità assistenziale.
Questa continuità di cure permette di usufruire di varie tipologie di intervento come il passaggio dall’ambulatorio, al Day-Hospital, al ricovero ospedaliero e all’hospice.

Le cure domiciliari consentono di raggiungere alcuni importanti obiettivi:

  1. trattare a domicilio una patologia ematologia evitando, così, ricoveri impropri.
  2. migliorare la qualità di vita del paziente, intesa anche come recupero delle proprie attività normali e di relazione.
  3. aiutare le persone che si prendono cura del malato, mettendole nelle condizioni di sostenere il familiare da un punto di vista fisico e psicologico.
  4. permettere al paziente di accedere alle strutture sanitarie necessarie, in caso di bisogno.

Due le tipologie di paziente anziano che richiede generalmente l’assistenza a domicilio:

  1. il paziente in fase avanzata o terminale di malattia
  2. il paziente ematologico cronico, non più autosufficiente e quindi non più in grado di eseguire i periodici controlli ambulatoriali o le prestazioni in regime di Day-Hospital.
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Il day hospital

Il Day-Hospital consente di “ricoverare” il paziente per un periodo di poche ore o comunque destinato a concludersi nell’arco di una giornata, con ritorno alla propria abitazione per la notte. Ciò consente di effettuare terapie impegnative, tenendo il paziente sotto controllo per il tempo necessario, senza tuttavia costringerlo ad allontanarsi dal suo normale ambiente e stile di vita.
Nei pazienti anziani il Day-Hospital è la modalità ideale di gestione di tutte le terapie non eseguibili di routine a casa, quali trasfusioni, chemioterapie, idratazioni.
Inoltre, è fondamentale per dimettere precocemente quei pazienti ricoverati in seguito a gravi complicanze, una volta superata la fase acuta e la complicanza sia in fase di risoluzione.

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La terapia

  • il ricovero

    Nei pazienti anziani il ricovero in ambiente ospedaliero va attentamente valutato perché potrebbe provocare importanti complicanze sia di tipo fisico che di tipo psicologico.

    Il ricovero è indicato, soltanto, nelle seguenti 3 situazioni:

    1. Somministrazione di chemioterapie intensive che richiedano un controllo stretto ed immediato delle possibili gravi complicanze (in genere emorragiche od infettive)
    2. Patologie intercorrenti legate alla malattia del sangue (ad esempio una grave infezione) o casualmente associate ad essa (ad esempio una patologia cardiaca). In questi casi un periodo di ricovero, generalmente di breve durata e in un reparto specializzato, può consentire la risoluzione del problema con maggior sicurezza e prontezza.
    3. Interventi chirurgici programmabili, che migliorino la qualità di vita senza gravi complicanze.
  • il day hospital

    Il Day-Hospital consente di “ricoverare” il paziente per un periodo di poche ore o comunque destinato a concludersi nell’arco di una giornata, con ritorno alla propria abitazione per la notte. Ciò consente di effettuare terapie impegnative, tenendo il paziente sotto controllo per il tempo necessario, senza tuttavia costringerlo ad allontanarsi dal suo normale ambiente e stile di vita.
    Nei pazienti anziani il Day-Hospital è la modalità ideale di gestione di tutte le terapie non eseguibili di routine a casa, quali trasfusioni, chemioterapie, idratazioni.
    Inoltre, è fondamentale per dimettere precocemente quei pazienti ricoverati in seguito a gravi complicanze, una volta superata la fase acuta e la complicanza sia in fase di risoluzione.

  • l'ambulatorio

    Molte malattie del sangue nei pazienti anziani possono e devono essere gestite in regime ambulatoriale, con esami e visite periodiche.
    Questo, però, può essere fatto solo a determinate condizioni:

    1. Gli ambienti dedicati all’attività ambulatoriale devono essere accoglienti, puliti ed ordinati, alla stessa stregua del Day-Hospital e dei reparti di degenza.
    2. Il singolo paziente deve essere seguito nel suo decorso sempre dallo stesso piccolo gruppo di medici. In questo modo si crea un rapporto personale e di fiducia, indispensabile a far accettare al paziente anche i lati spiacevoli della malattia e della terapia.
    3. L’anziano deve poter andare da solo all’appuntamento ambulatoriale. Questo lo aiuta, dal punto di vista psicologico, a sentirsi meno “malato” e meno “di peso” alla famiglia.
    4. Il medico ambulatoriale, oltre a preoccuparsi dell’aspetto clinico e terapeutico, deve sapere incoraggiare il paziente anziano perché conduca una vita il più possibile normale. In alcuni casi, l’aspetto psicologico può diventare più importante di considerazioni puramente cliniche.
    5. La famiglia deve essere coinvolta nel controllo della terapia a casa da parte del paziente, nel controllo di un’adeguata alimentazione e di un adeguato apporto idrico, nel mantenimento della normale attività fisica e nel sostegno psicologico.
    6. Il medico di famiglia deve essere sempre contattato e coinvolto dall’ematologo nella diagnosi e gestione ambulatoriale. La sua presenza è molto importante soprattutto laddove ci sia bisogno di un suo primo intervento a domicilio in caso di complicanze.
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La qualità di vita

Con “qualità della vita” si fa riferimento a tutto ciò che riguarda il benessere fisico, mentale e relazionale di un paziente.

CARATTERISTICHE CHE IN UN PAZIENTE GARANTISCONO LA QUALITA' DELLA VITA

  • autonomia
  • possibilità di portare avanti le attività consuete e di condurre una normale vita di relazione
  • assenza di dolore
  • assenza di affaticamento e/o di sintomi legati alla malattia
  • possibilità di assumere terapie semplici e poco tossiche

Nei pazienti anziani in cui la guarigione è l’obiettivo primario, la qualità della vita passa in secondo piano per tutto il tempo delle cure mediche.
La qualità di vita diventa invece l’obiettivo primario della terapia in tutti quei pazienti anziani affetti da malattie ematologiche non suscettibili di guarigione, che possiamo dividere in 2 categorie.

PATOLOGIE EMATOLOGICHE DI TIPO CRONICO
Linfomi non Hodgkin a basso grado di malignità
Leucemia linfatica cronica
Sindromi mielodisplastiche
Malattie Mieloproliferative Croniche

Sono fra le patologie ematologiche più comuni nell’anziano.
Si caratterizzano per un decorso generalmente indolente, che consente una gestione il più delle volte ambulatoriale, con il ricorso alla sola terapia di supporto o con una blanda terapia antiblastica orale che non ha quasi nessun effetto collaterale.
In molte di queste malattie la sopravvivenza dei pazienti anziani è sovrapponibile a quella dei soggetti anziani normali.

 

PATOLOGIE EMATOLOGICHE ACUTE O SUBACUTE
Leucemie Acute Mieloidi
Leucemie Acute Linfoidi

In questi casi la qualità di vita è un obiettivo estremamente difficile da raggiungere per l’aggressività delle malattie in questione.
Per garantire a questi pazienti una qualità di vita accettabile, sarebbe necessario che tutti i grandi Centri Ematologici avessero:

  • strutture di Day-Hospital ed ambulatorio fruibili anche da questi pazienti
  • una struttura di Pronto Soccorso dedicata ai pazienti ematologici con reperibilità telefonica sia diurna che notturna. O, in alternativa, un pronto soccorso generale di riferimento, che abbia creato una collaborazione costante con la figura dell’ematologo
  • un Centro Trasfusionale ed un Laboratorio di Infettivologia attrezzati
  • un gruppo di medici ematologi e paramedici specialisti, dedicato all’assistenza domiciliare, con particolare competenza nel settore della terapia del dolore
  • un gruppo psico-sociale di assistenza al paziente ed al nucleo familiare.
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Obiettivi

Per poter individuare il miglior approccio terapeutico per ciascun paziente anziano, l’ematologo deve cercare innanzitutto di capire quale obiettivo è ragionevole pensare di raggiungere per ciascun paziente.
Le alternative sono due:

  • la guarigione
  • la garanzia di una buona qualità della vita.
  • la guarigione

    Anche nei soggetti anziani le possibilità di guarigione in ambito onco-ematologico sono molto migliorate negli ultimi 20 anni.
    Questi miglioramenti fanno sì che in varie situazioni si possa puntare anche nei pazienti anziani ad una guarigione completa.

    In particolare, questo è possibile nel caso di 3 diversi tipi di patologie:

    1. patologie in cui è disponibile una terapia mirata che agisce sull’alterazione molecolare specifica della malattia, in modo da colpire selettivamente le cellule malate, risparmiando le cellule normali ed evitando così la grave tossicità della chemioterapia tradizionale.
      E’ il caso della leucemia acuta promielocitica e della Leucemia mieloide cronica.
      In entrambe le patologie, queste nuove terapie mirate hanno permesso di ottenere le stesse elevate percentuali di remissione completa, con possibile guarigione, sia nei pazienti anziani che nei giovani. Questi farmaci risultano invece quasi del tutto inefficaci nelle altre patologie onco-ematologiche.

    2. patologie molto sensibili alle polichemioterapie di tipo tradizionale
      E’ il caso di numerose forme di linfoma non Hodgkin e del morbo di Hodgkin.
      In queste patologie la polichemioterapia tradizionale ha una tossicità importante, ma permette di ottenere la remissione completa in oltre il 70% dei pazienti anziani ed una possibilità di guarigione vicina al 50%.

    3. patologie non molto sensibili alle polichemioterapie di tipo tradizionale
      E’ il caso del Mieloma Multiplo e soprattutto delle Leucemie Acute sia Mieloidi che Linfoidi.
      Nei pazienti anziani l’impiego di terapie aggressive va riservato solo a casi molto selezionati in base a caratteristiche cliniche (buone condizioni generali, non patologie associate) e/o biologiche particolari (presenza di alterazioni biologiche a buona prognosi).
      Per le leucemie acute in meno del 30% di pazienti anziani vengono utilizzati trattamenti intensivi e le possibilità di guarire sono molto basse (< 10-20% dei pazienti trattati). Pertanto, spesso si ricorre a terapie sperimentali, quali ad esempio l’impiego di nuovi farmaci o l’uso del cosiddetto allotrapianto con condizionamento ad intensità ridotta. Per quanto riguarda il mieoloma multiplo l’impiego di nuovi farmaci e la possibilità di ricorrere fino a 70-75 anni all’autotrapianto di cellule staminali consente di trattare i pazienti anziani come i giovani con risultati molto favorevoli.
  • la qualità di vita

    Con “qualità della vita” si fa riferimento a tutto ciò che riguarda il benessere fisico, mentale e relazionale di un paziente.

    CARATTERISTICHE CHE IN UN PAZIENTE GARANTISCONO LA QUALITA' DELLA VITA

    • autonomia
    • possibilità di portare avanti le attività consuete e di condurre una normale vita di relazione
    • assenza di dolore
    • assenza di affaticamento e/o di sintomi legati alla malattia
    • possibilità di assumere terapie semplici e poco tossiche

    Nei pazienti anziani in cui la guarigione è l’obiettivo primario, la qualità della vita passa in secondo piano per tutto il tempo delle cure mediche.
    La qualità di vita diventa invece l’obiettivo primario della terapia in tutti quei pazienti anziani affetti da malattie ematologiche non suscettibili di guarigione, che possiamo dividere in 2 categorie.

    PATOLOGIE EMATOLOGICHE DI TIPO CRONICO
    Linfomi non Hodgkin a basso grado di malignità
    Leucemia linfatica cronica
    Sindromi mielodisplastiche
    Malattie Mieloproliferative Croniche

    Sono fra le patologie ematologiche più comuni nell’anziano.
    Si caratterizzano per un decorso generalmente indolente, che consente una gestione il più delle volte ambulatoriale, con il ricorso alla sola terapia di supporto o con una blanda terapia antiblastica orale che non ha quasi nessun effetto collaterale.
    In molte di queste malattie la sopravvivenza dei pazienti anziani è sovrapponibile a quella dei soggetti anziani normali.

     

    PATOLOGIE EMATOLOGICHE ACUTE O SUBACUTE
    Leucemie Acute Mieloidi
    Leucemie Acute Linfoidi

    In questi casi la qualità di vita è un obiettivo estremamente difficile da raggiungere per l’aggressività delle malattie in questione.
    Per garantire a questi pazienti una qualità di vita accettabile, sarebbe necessario che tutti i grandi Centri Ematologici avessero:

    • strutture di Day-Hospital ed ambulatorio fruibili anche da questi pazienti
    • una struttura di Pronto Soccorso dedicata ai pazienti ematologici con reperibilità telefonica sia diurna che notturna. O, in alternativa, un pronto soccorso generale di riferimento, che abbia creato una collaborazione costante con la figura dell’ematologo
    • un Centro Trasfusionale ed un Laboratorio di Infettivologia attrezzati
    • un gruppo di medici ematologi e paramedici specialisti, dedicato all’assistenza domiciliare, con particolare competenza nel settore della terapia del dolore
    • un gruppo psico-sociale di assistenza al paziente ed al nucleo familiare.

 

 

 

 

 

 

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Il CAD e i servizi sociali

L’età anziana è generalmente caratterizzata dall’insorgere di multipatologie croniche, e dal presentarsi di disabilità che ne condizionano fortemente i livelli di autosufficienza.

Il CAD o Assistenza Domiciliare Integrata è un servizio che ha come scopo quello proprio di garantire l’assistenza sanitaria di base, erogata dalla A.S.L., a quei pazienti che sono stabilmente impossibilitati a muoversi.

L’assistenza viene erogata a domicilio o presso l’istituto di ricovero, secondo un preciso piano assistenziale definito dalla ASL, fondato sul concorso del medico di medicina generale, degli specialisti, degli altri operatori sanitari.

In campo ematologico il CAD si può occupare di quei malati che, impossibilitati dalla malattia o da altre patologie concomitanti, non possono più ricevere alcune prestazioni che altrimenti si svolgerebbero in regime di Day Hospital o ambulatoriale.

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L'Ambulatorio

Molte malattie del sangue nei pazienti anziani possono e devono essere gestite in regime ambulatoriale, con esami e visite periodiche.
Questo, però, può essere fatto solo a determinate condizioni:

  1. Gli ambienti dedicati all’attività ambulatoriale devono essere accoglienti, puliti ed ordinati, alla stessa stregua del Day-Hospital e dei reparti di degenza.
  2. Il singolo paziente deve essere seguito nel suo decorso sempre dallo stesso piccolo gruppo di medici. In questo modo si crea un rapporto personale e di fiducia, indispensabile a far accettare al paziente anche i lati spiacevoli della malattia e della terapia.
  3. L’anziano deve poter andare da solo all’appuntamento ambulatoriale. Questo lo aiuta, dal punto di vista psicologico, a sentirsi meno “malato” e meno “di peso” alla famiglia.
  4. Il medico ambulatoriale, oltre a preoccuparsi dell’aspetto clinico e terapeutico, deve sapere incoraggiare il paziente anziano perché conduca una vita il più possibile normale. In alcuni casi, l’aspetto psicologico può diventare più importante di considerazioni puramente cliniche.
  5. La famiglia deve essere coinvolta nel controllo della terapia a casa da parte del paziente, nel controllo di un’adeguata alimentazione e di un adeguato apporto idrico, nel mantenimento della normale attività fisica e nel sostegno psicologico.
  6. Il medico di famiglia deve essere sempre contattato e coinvolto dall’ematologo nella diagnosi e gestione ambulatoriale. La sua presenza è molto importante soprattutto laddove ci sia bisogno di un suo primo intervento a domicilio in caso di complicanze.
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Il ricovero

Nei pazienti anziani il ricovero in ambiente ospedaliero va attentamente valutato perché potrebbe provocare importanti complicanze sia di tipo fisico che di tipo psicologico.

Il ricovero è indicato, soltanto, nelle seguenti 3 situazioni:

  1. Somministrazione di chemioterapie intensive che richiedano un controllo stretto ed immediato delle possibili gravi complicanze (in genere emorragiche od infettive)
  2. Patologie intercorrenti legate alla malattia del sangue (ad esempio una grave infezione) o casualmente associate ad essa (ad esempio una patologia cardiaca). In questi casi un periodo di ricovero, generalmente di breve durata e in un reparto specializzato, può consentire la risoluzione del problema con maggior sicurezza e prontezza.
  3. Interventi chirurgici programmabili, che migliorino la qualità di vita senza gravi complicanze.
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Diagnosi

Il momento in cui il medico comunica la diagnosi è sempre cruciale per patologie importanti come quelle ematologiche, e investe sempre sia il paziente che la sua famiglia.

Nel caso di un paziente anziano, la comunicazione della diagnosi avviene in modo abbastanza simile a ciò che succede con i bambini.
Il paziente anziano, infatti, deve essere considerato e rispettato come soggetto pienamente in grado di intendere e volere, e quindi in grado di scegliere autonomamente per la propria vita.  Non si possono però trascurare alcune caratteristiche dell’essere anziano e malato.

Il medico si trova, quindi, a dover scegliere col buon senso e l’esperienza “quanto” e “cosa” dire al singolo paziente anziano della sua malattia ematologica e del suo futuro.
Ci sono alcune considerazioni che aiutano il medico nella scelta del comportamento migliore da assumere:

  • il tipo di malattia ematologica
  • la valutazione extra-clinica del paziente anziano non guaribile
  • la comunicazione-condivisione della diagnosi con la famiglia.

IL TIPO DI MALATTIA EMATOLOGICA
Patologie Croniche
In presenza di patologie croniche, non esiste in genere ostacolo ad una completa esposizione al paziente anziano della propria malattia.
L’esatta descrizione della cronicità, anche in presenza del termine “leucemia” o di una malattia definita con chiarezza “tumore”, aiuta a tranquillizzare il paziente e a renderlo fiducioso nel medico.

Patologia Acuta
Nei casi di patologia acuta, in cui si intende proporre una terapia intensiva, è ugualmente doveroso informare il paziente anziano di tutte le implicazioni che la malattia e la terapia proposta comportano.
E’ di grande aiuto sottolineare al paziente che si propone una terapia intensiva perché si hanno fondate possibilità di guarigione, o almeno di risposta completa e protratta nel tempo. Tale affermazione ovviamente dà una forte motivazione ad affrontare i disagi e gli effetti collaterali.

Patologia Acuta o Subacuta con mancata possibilità di guarigione
Nei casi di pazienti anziani che, a fronte di una patologia acuta o subacuta, non hanno possibilità di guarigione e nemmeno di risposta completa, è necessario procedere con una valutazione extra-clinica del paziente.

LA VALUTAZIONE EXTRA-CLINICA DEL PAZIENTE ANZIANO NON GUARIBILE
E’ fondamentale cercare di comprendere, per ogni singolo paziente anziano, il grado di verità sulla propria malattia che si è in grado di sostenere e con il quale si può convivere senza compromettere la qualità di vita.

In questa valutazione rientrano fattori quali:

  • la cultura del paziente
  • le precedenti esperienze di malattia proprie o dei familiari
  • le caratteristiche psicologiche
  • l’ambiente familiare di derivazione

Anche nei pazienti anziani ai quali si decide di non comunicare la diagnosi nelle sue conseguenze più estreme, va tuttavia messo ben in chiaro che la malattia è impegnativa e richiederà delle limitazioni e dei sacrifici nella vita di tutti i giorni.

In questi pazienti è utile anche una terza tappa decisionale.

LA COMUNICAZIONE-CONDIVISIONE DELLA DIAGNOSI CON LA FAMIGLIA
I familiari dei pazienti anziani possono fornire al medico elementi importanti per capire quanto e come sia utile comunicare la diagnosi.
In un’ottica di qualità di vita, la famiglia diventa elemento determinante per l’assistenza al malato e perciò la diagnosi deve essere condivisa il più possibile.

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La guarigione

Anche nei soggetti anziani le possibilità di guarigione in ambito onco-ematologico sono molto migliorate negli ultimi 20 anni.
Questi miglioramenti fanno sì che in varie situazioni si possa puntare anche nei pazienti anziani ad una guarigione completa.

In particolare, questo è possibile nel caso di 3 diversi tipi di patologie:

  1. patologie in cui è disponibile una terapia mirata che agisce sull’alterazione molecolare specifica della malattia, in modo da colpire selettivamente le cellule malate, risparmiando le cellule normali ed evitando così la grave tossicità della chemioterapia tradizionale.
    E’ il caso della leucemia acuta promielocitica e della Leucemia mieloide cronica.
    In entrambe le patologie, queste nuove terapie mirate hanno permesso di ottenere le stesse elevate percentuali di remissione completa, con possibile guarigione, sia nei pazienti anziani che nei giovani. Questi farmaci risultano invece quasi del tutto inefficaci nelle altre patologie onco-ematologiche.

  2. patologie molto sensibili alle polichemioterapie di tipo tradizionale
    E’ il caso di numerose forme di linfoma non Hodgkin e del morbo di Hodgkin.
    In queste patologie la polichemioterapia tradizionale ha una tossicità importante, ma permette di ottenere la remissione completa in oltre il 70% dei pazienti anziani ed una possibilità di guarigione vicina al 50%.

  3. patologie non molto sensibili alle polichemioterapie di tipo tradizionale
    E’ il caso del Mieloma Multiplo e soprattutto delle Leucemie Acute sia Mieloidi che Linfoidi.
    Nei pazienti anziani l’impiego di terapie aggressive va riservato solo a casi molto selezionati in base a caratteristiche cliniche (buone condizioni generali, non patologie associate) e/o biologiche particolari (presenza di alterazioni biologiche a buona prognosi).
    Per le leucemie acute in meno del 30% di pazienti anziani vengono utilizzati trattamenti intensivi e le possibilità di guarire sono molto basse (< 10-20% dei pazienti trattati). Pertanto, spesso si ricorre a terapie sperimentali, quali ad esempio l’impiego di nuovi farmaci o l’uso del cosiddetto allotrapianto con condizionamento ad intensità ridotta. Per quanto riguarda il mieoloma multiplo l’impiego di nuovi farmaci e la possibilità di ricorrere fino a 70-75 anni all’autotrapianto di cellule staminali consente di trattare i pazienti anziani come i giovani con risultati molto favorevoli.
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Leucemie acute linfoidi del bambino

Francesco Marchesi, Giuseppe Avvisati
Unità di Ematologia, Policlinico Universitario Campus Bio-Medico (Roma)

La leucemia linfoide acuta (LLA) è una neoplasia ematologica che origina dalla trasformazione neoplastica di un clone di linfociti B o T nel midollo osseo emopoietico. Come conseguenza di questa trasformazione, un singolo clone di linfociti B o T andrà incontro ad un arresto dei processi di maturazione cellulare e ad una esaltata attività di proliferazione cellulare che comporta una diffusa infiltrazione di elementi leucemici nel midollo osseo emopoietico e nel sangue venoso periferico.

EPIDEMIOLOGIA: pur essendo una neoplasia rara, la LLA è il tumore più frequente nella popolazione pediatrica, con un picco di incidenza tra i 2 e i 5 anni di età. L’incidenza delle LLA si riduce poi progressivamente con l’aumentare dell’età, mantenendosi comunque elevata tra i 10 e i 29 anni e tra i 50 e i 69 anni di età.

EZIOPATOGENESI: come la maggior parte delle neoplasie, anche per la LLA, è stata postulata una patogenesi multifattoriale, in cui concorrono fattori genetici e fattori ambientali. Tra i fattori ambientali noti come leucemogeni ricordiamo il benzene, le radiazioni e i pesticidi.

DIAGNOSI: la diagnosi e la caratterizzazione di una LLA avviene mediante analisi diverse che vengono effettuate sia sul sangue midollare prelevato mediante l’aspirato midollare che sul sangue venoso periferico. Queste analisi sono:

  1. citomorfologia e citochimica: per mezzo di queste analisi si visualizzano al microscopio ottico le cellule leucemiche (blasti) del midollo osseo (citomorfologia); inoltre alcune colorazioni specifiche di queste cellule (citochimica) permettono di identificare il tipo di cellula. La quota di cellule leucemiche presenti nel midollo osseo emopoietico per fare diagnosi di LLA deve essere > del 20%
  2. immunofenotipo: questo esame ci permette, mediante anticorpi monoclonali, di identificare alcune specifiche proteine espresse sulla superficie delle cellule leucemiche (gli antigeni più comuni nelle LLA sono TdT, HLA-DR, CD19, CD10, CD22, CD79a, CD3, CD5, CD7, CD34)
  3. citogenetica: l’esame ci consente di individuare specifiche aberrazioni cromosomiche presenti nelle cellule leucemiche
  4. biologia molecolare: completa l’analisi citogenetica e consente di individuare specifiche mutazioni o alterazioni geniche presenti nel genoma delle cellule leucemiche.

Oltre agli esami sopradescritti, per un completo e corretto inquadramento diagnostico e per una stadiazione di base è necessario inoltre effettuare alla diagnosi:

  1. Esame obiettivo per valutare l’eventuale presenza di linfoadenomegalie superficiali, di ingrossamento degli organi ipocondriaci, di paralisi dei nervi cranici, di ipertrofia testicolare possibile espressione di localizzazione di malattia
  2. Esame emocromocitometrico e esami ematici completi (compresi LDH, uricemia, coagulazione e marcatori virologici)
  3. Esame chimico-fisico, morfologico e immunofenotipico del liquor prelevato mediante rachicentesi per valutare di eventuali localizzazioni di malattia al Sistema Nervoso Centrale (SNC)
  4. Conta differenziale delle cellule nel sangue venoso periferico, in modo da stabilire il numero di cellule leucemiche circolanti
  5. TC total body per valutare eventuali incrementi dimensionali di linfonodi profondi, possibile espressione di localizzazione di malattia
  6. Valutazione cardiologica mediante ECG ed ecocardiogramma.

CLASSIFICAZIONE: Nel 2008 la Word Health Organization (WHO) ha effettuato una revisione della classificazione delle LLA, limitando l’utilizzo della più datata classificazione del gruppo cooperativo Franco-Americano-Britannico (FAB), che voleva le LLA dividersi nelle 3 principali forme L1, L2 e L3, distinti per criteri unicamente morfologici.
Pertanto, dopo questa revisione del 2008 da parte della WHO, le LLA vengono classificate come segue:

Leucemia linfoide acuta B suddivisa in:
Leucemia linfoide acuta B non altrimenti specificata (NAS)
Leucemia linfoide acuta B con ricorrenti anomalie genetiche
LLA con t(9;22)/BCR-ABL
LLA con anomalie del gene MLL
LLA con t(12;21)/ETV6-RUNX1
LLA con iperdiploidia
LLA con ipodiploidia
LLA con t(1;19)/TCF3-PBX1
LLA con t(5;14)/IL3-IGH

Leucemia linfoide acuta T

Sintomatologia: la sintomatologia d’esordio di una LLA è in genere tipicamente brusca e rapidamente progressiva; l’inizio dei sintomi generalmente non precede di molto la diagnosi.
I sintomi e i segni di questa malattia possono essere schematicamente suddivisi in 3 categorie:

  • Segni e sintomi derivanti dalla soppressione della normale emopoiesi, che sono dovuti alla proliferazione e all’espansione delle cellule leucemiche nel midollo osseo emopoietico come: anemia (che determina spossatezza e pallore), riduzione della produzione dei globuli bianchi normali (che espone il paziente con LLA ad un elevato rischio di infezioni anche molto gravi) e riduzione del numero delle piastrine (che espone il paziente ad emorragie più o meno gravi).
  • Segni e sintomi derivanti dalla presenza di elementi leucemici nel sangue periferico e dal rilascio da parte di queste cellule di mediatori dell’infiammazione quali sintomi sistemici come febbre o febbricola, sudorazioni profuse, dolori osteo-articolari diffusi, dolori muscolari diffusi, perdita di peso, sensazione di malessere generale.
  • Segni e sintomi derivanti dall’infiltrazione tissutale dovuti alla infiltrazione da parte di elementi leucemici di numerosi organi. In particolare, sono frequenti all’esordio l’ingrossamento di linfonodi, della milza e del fegato. Più rara, ma possibile, è la presenza di infiltrazione testicolare. Un’importante caratteristica delle LLA è la spiccata tendenza ad invadere il SNC, determinando una meningosi leucemica, che può manifestarsi con sintomi neurologici molto variabili, dalla semplice cefalea, all’improvvisa comparsa di nausea e vomito “sine causa”, alla paralisi isolata di nervi cranici (es. paralisi del nervo faciale) fino ad arrivare a quadri gravi come convulsioni e coma.

Prognosi: la prognosi della LLA nel bambino è drammaticamente migliorata negli ultimi decenni, risultando uno dei più grandi progressi in campo ematologico e in generale di tutta la medicina: oggi un bambino affetto da LLA trattato in un centro altamente specializzato e accreditato ha una probabilità di guarigione dalla sua malattia che si aggira intorno all’80%. Purtroppo, i risultati ottenuti nella popolazione pediatrica non sono stati ancora raggiunti nel resto dei pazienti, a dimostrazione del fatto che l’età gioca un ruolo fondamentale nella prognosi di questa malattia. Attualmente, solo il 30-40% dei pazienti adulti (18-60 anni) e meno del 10% dei pazienti anziani (> 60 anni) è in grado di ottenere la guarigione.
Il miglioramento della prognosi di questa malattia osservato, soprattutto nei bambini, negli ultimi anni è dovuto in parte al miglioramento delle terapie specifiche e delle terapie di supporto, ma soprattutto al miglioramento della stratificazione prognostica di base, che ha permesso di modulare l’intensità dei trattamenti in base al livello clinico-biologico di aggressività della malattia. Negli ultimi anni sono stati delineati in maniera dettagliata e universalmente riconosciuti i principali fattori prognostici in grado di predire un andamento clinico più favorevole o più sfavorevole sia nei pazienti pediatrici che negli adulti: nella maggior parte degli studi clinici i pazienti affetti da LLA vengono divisi in 2 differenti categorie di rischio: rischio STANDARD e ALTO RISCHIO. Un elemento di notevole impatto sulla prognosi delle LLA è inoltre la valutazione della malattia minima residua (MMR) dopo la terapia, effettuata mediante tecniche di immunofenotipo o biologia molecolare: pazienti con MMR positiva dopo la terapia hanno una maggiore probabilità di andare incontro ad una ripresa di malattia e quindi possono beneficiare di un intensificazione del trattamento.

PRINCIPALI FATTORI PROGNOSTICI NELLE LLA DEL BAMBINO E DELL'ADULTO

FATTORI PROGNOSTICI FAVOREVOLI SFAVOREVOLI
ADULTI
 Età  < 35  >60
 Globuli bianchi (n/mmc)  < 30.000  > 100.000
 Immunofenotipo  Mid T-cell  Early T-cell, mature T-cell
Genetica/biologia molecolare del(9p) BCR-ABL, MLL-AF4, ipodiploidia, cariotipo complesso
MMR dopo l’induzione < 0.01% > 0.01%
Tempo per raggiungere la RC Precoce Tardivo (3-4 settimane)
Risposta alla prefase steroidea Si (riduzione blasti ≥ 75%) No (riduzione blasti < 75%)
BAMBINI    
Età 1-9 <1 oppure ≥10
Globuli bianchi (n/mmc) < 50.000 > 50.000
Immunofenotipo Precursor B-cell Early T-cell
Genetica/biologia molecolare Iperdiploidia, ETV6-RUNX1 BCR-ABL, MLL-AF4, anomalie MLL
MMR dopo l’induzione < 0.01% ≥ 1%
Tempo per raggiungere la RC Precoce Tardivo (3-4 settimane)
Risposta alla prefase steroidea Si (conta blasti < 1000/mmc) No (conta blasti > 1000/mmc)


Nei pazienti pediatrici vengono considerati come fattori di rischio aggiuntivi altri fattori: 1) fenotipo T; 2) malattia SNC all’esordio; 3) localizzazione testicolare all’esordio; 4) localizzazione mediastinica di malattia.

Terapia: la terapia della LLA è molto complessa e ha una durata approssimativa di 2 anni. Esistono diversi schemi terapeutici e l’intensità del trattamento è diversa nella popolazione pediatrica, dove vengono usati regimi più intensivi. In generale, il programma chemioterapico previsto per la terapia delle LLA si può schematicamente dividere in 4 fasi:

  1. Chemioterapia di induzione: ha lo scopo di ottenere la scomparsa delle cellule leucemiche dal midollo osseo emopoietico e dal sangue periferico (remissione completa); si basa generalmente su schemi a 4 o 5 farmaci (Vincristina, Prednisone, Daunorubicina, Asparaginasi, Ciclofosfamide) e ha una durata approssimativa di 30-50 giorni. Alcuni schemi prevedono una seconda induzione basata sull’uso di altri farmaci (6-mercaptopurina, Citarabina, Ciclofosfamide);
  2. Chemioterapia di consolidamento: è molto diversificata a seconda dei diversi schemi. Generalmente è basata sull’uso di chemioterapia ad alte dosi. I farmaci più frequentemente utilizzati in questa fase sono Methotrexate, Citarabina, Ciclofosfamide, Etoposide, Mitoxantrone e Asparaginasi;
  3. Chemioterapia di reinduzione: generalmente basata sui medesimi farmaci dell’induzione, ma somministrati con modalità e dosaggi diversi;
  4. Chemioterapia di mantenimento: basata sulla somministrazione per via orale o intramuscolare di 6-mercaptopurina e Methotrexate. Durante questa fase, della durata di circa 1 anno, è necessario effettuare delle periodiche reinduzioni, utilizzando generalmente Vincristina e Daunorubicina.

Durante tutte le fasi del trattamento è assolutamente necessario effettuare una profilassi delle localizzazioni del SNC mediante la somministrazione per via endorachidea (rachicentesi medicate) di chemioterapici (in genere Methotrexate o Citarabina). In media il trattamento di una LLA prevede circa 15-18 rachicentesi medicate per ridurre il rischio che, durante la terapia, si possa verificare una ripresa di malattia a livello meningeo. Una possibile alternativa, usata in casi selezionati, è l’uso della radioterapia cranio-spinale.

Il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche (CSE) da donatore familiare compatibile e da donatore non consanguineo ad alta affinità ha delle precise indicazioni, specie nei pazienti pediatrici. Generalmente viene effettuato:

  • nei pazienti ad alto rischio in prima linea di trattamento;
  • nei pazienti resistenti dopo la terapia di induzione;
  • nei pazienti che vanno incontro ad un recidiva precoce di malattia.

Non esistono delle indicazioni per il trapianto autologo di CSE, con il quale si ottengono dei risultati sovrapponibili alla chemioterapia di consolidamento/mantenimento.

LLA PHILADELPHIA POSITIVE
Un discorso a parte meritano le così dette LLA Philadelphia positive, ovvero quelle LLA in cui alla diagnosi viene riscontrata nei blasti leucemici la traslocazione t(9;22) che determina la formazione del gene di fusione BCR-ABL. Questa forma di leucemia è tipica del’età più avanzata e rara nella popolazione pediatrica, e costituisce circa il 30% delle nuove diagnosi di LLA nei pazienti con età maggiore di 60 anni. Da un punto di vista clinico si caratterizza per la notevole aggressività, la spiccata tendenza alla meningosi leucemica sin dall’esordio della malattia e alla prognosi pessima, dovuta alla elevata frequenza di recidive precoci dopo il raggiungimento della remissione completa. Pur essendo universalmente riconosciuta come un tipo di LLA ad alto rischio, oggi è possibile utilizzare nel trattamento di questa malattia alcuni farmaci “intelligenti” che sono in grado di inibire la proteina di fusione che deriva dall’anomalia cromosomica presente nelle cellule leucemiche e che, almeno in parte, è responsabile del processo di trasformazione neoplastica. Questi farmaci sono essenzialmente 2, l’Imatinib e il Dasatinib. Al momento attuale sono in corso molti studi che hanno lo scopo di valutare come meglio utilizzare queste terapie e come poterle combinare con la chemioterapia. Ad oggi, le linee guida internazionali indicano la necessità di trattare in prima linea questi pazienti con l’associazione dell’Imatinib con la chemioterapia di induzione e di prevedere, per i pazienti eleggibili con donatore HLA-compatibile familiare o non correlato, l’intensificazione con il trapianto allogenico di CSE in prima remissione completa. Non è al momento chiaro se questi pazienti possano beneficiare di una terapia di mantenimento con l’Imatinib dopo il trapianto. Per i pazienti senza donatori disponibili, è bene associare l’Imatinib a tutte le fasi della chemioterapia di consolidamento/mantenimento.
Infine, nel 2007 uno studio del gruppo italiano GIMEMA ha permesso di dimostrare la notevole efficacia di una terapia di induzione basata sull’uso dei corticosteroidi in associazione al solo Imatinib o Dasatinib nei pazienti con nuova diagnosi di LLA di età maggiore ai 60 anni. I brillanti risultati ottenuti in questa tipologia di pazienti (con sopravvivenze mediane nettamente superiori rispetto a quelle ottenute con la terapia convenzionale) ha spinto molti gruppi cooperativi a sperimentare terapie di induzione non basate sulla chemioterapia anche nei pazienti più giovani. I risultati di questi studi ancora non sono disponibili, ma ci sono notevoli aspettative da parte della comunità scientifica mondiale.

LLA L3
La forma di LLA che viene nominata dal sistema di classificazione FAB come L3 è una entità nosologica a sé stante, sia da un punto di vista clinico che biologico e costituisce circa il 4-7% di tutte le forme di LLA. La LLA L3 è una forma di leucemia ad elevatissimo livello di aggressività, che da un punto di vista clinico è di fatto indistinguibile dalla forma leucemizzata del linfoma di Burkitt. Per tal motivo alla diagnosi è frequentemente caratterizzata dalla presenza di diffuse linfoadenomegalie e masse neoplastiche di elevate dimensioni, con una spiccata tendenza al coinvolgimento del SNC. L’esordio della malattia è brusco e sono sempre presenti sintomi sistemici di rilievo. Le cellule leucemiche della LLA L3 presentano almeno 3 caratteristiche peculiari che ne consentono una facile distinzione dalle altre forme di LLA:

  • Da un punto di vista morfologico sono caratterizzate dalla presenza costante di vacuoli citoplasmatici, che risultano quasi patognomonici di questa malattia;
  • Da un punto di vista immunofenotipico sono caratterizzate dall’espressione sulla superficie cellulare di immunoglobuline monoclonali, dalla frequente espressione del CD20 e dalla mancata espressione di marcatori di immaturità (come TdT, HLA-DR e CD34);
  • Da un punto di vista genetico sono caratterizzate dalla presenza della traslocazione t(8;14) che porta alla abnorme espressione del gene c-myc, responsabile della perdita del normale controllo della proliferazione cellulare.

La terapia di questa forma di LLA si discosta nettamente dalla altre: infatti, sono stati ottenuti dei risultati notevoli con l’utilizzo di schemi polichemioterapici ad alte dosi somministrati in maniera sequenziale ed intensiva basati sull’uso di farmaci come il Methotrexate ad alte dosi, la Citarabina ad alte dosi, la Ciclofosfamide a dosi iperfrazionate, la Vincristina, l’Ifosfamide, la Adriamicina e l’Etoposide. Inoltre, un ulteriore miglioramento nella prognosi di questa malattia è stato ottenuto associando a questi schemi chemioterapici l’uso dell’anticorpo monoclonale anti CD20 Rituximab. Questi schemi permettono di ottenere una guarigione di questa malattia in percentuali che si aggirano tra il 70 e l’80% a seconda dell’estensione della malattia all’esordio: per tale motivo, non è indicato l’uso dell’intensificazione con trapianto allogenico di CSE in prima remissione completa.

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