Caratterizzazione immunoistochimica e citofluorimetrica 

L’importanza della citofluorimetria nel campo oncoematologico è andata aumentando negli ultimi decenni, in particolare nel campo delle leucemie acute, ma è essenziale per la diagnosi anche di altre patologie come la leucemia linfatica cronica.

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Generale

Generale

L’importanza della citofluorimetria nel campo oncoematologico è andata aumentando negli ultimi decenni, in particolare nel campo delle leucemie acute, ma è essenziale per la diagnosi anche di altre patologie come la leucemia linfatica cronica.

Essa si basa sulla possibilità di riconoscere con delle metodiche di marcatura con anticorpi legati a sostanze colorate (fluorocromi) la presenza di particolari molecole (antigeni) presenti sulla membrana delle cellule (marcatura di superficie) o di antigeni intracitoplasmatici o endonucleari (quindi molecole presenti dentro le cellule).

Il campione di sangue midollare o periferico, una volta incubato con queste sostanze, viene fatto passare all’interno di un analizzatore di flusso, che permette di leggere la fluorescenza della cellula marcata e la densità di quel particolare antigene che cerchiamo. La strategia nell’analizzare diversi tipi di patologia consiste nel formare una porta (gate) attraverso cui selezionare solo la popolazione interessata. Per ogni popolazione individuata sarà quindi possibile stabilire la positività di un determinato antigene, e l’intensità della sua espressione.

Gli obiettivi di una analisi citofluorimetrica possono essere molteplici:

  • Quantificare l’entità della popolazione cellulare patologica e stimare la quota residua di midollo normale.

  • Distinguere forme leucemiche croniche da quelle acute in base all’espressione di alcuni antigeni caratteristici che riflettono il livello di maturazione delle cellule, in maniera complementare con l’analisi microscopica.

  • Definire sottotipi specifici di leucemia acuta sulla base degli antigeni espressi dai blasti della malattia, che riflettono sia la linea di provenienza (meloide, linfoide B o linfoide T) sia il grado di maturazione.

  • Ricerca di marcatori con riconosciuto impatto prognostico favorevole e/o sfavorevole (ad esempio, i marker di immaturità o mieloidi per individuare un sottotipo aggressivo di leucemia acute linfoide T, detto early-T precursor).

  • Individuare la presenza di antigeni che possano essere bersaglio di terapie mirate (come l’espressione del CD19 per l’utilizzo del blinatumomab nella leucemia acuta linfoide B o del CD33 per il gemtuzumab ozogamicin nella leucemia acuta mieloide),

  • Ricerca di marcatori aberranti allo scopo di poter individuare con più facilità, una volta ottenuta la remissione morfologica di una leucemia, l’eventuale persistenza di una popolazione cellulare neoplastica residuale (malattia minima residua),

Anche l’immunoistochimica si basa su anticorpi monoclonali marcati, ma questi vengono utilizzati su preparati istologici, come su una biopsia osteomidollare o una biopsia di altri tessuti, come i linfonodi nella diagnosi di linfoma. I marcatori immunoistochimici, assieme alla morfologia, consentono di definire la diagnosi nella maggioranza delle patologie ematologiche.

L’analisi immunoistochimica può anche individuare, come la citofluorimetria, antigeni con significato prognostico in diverse patologie e contribuire a definire specifici sottogruppi di leucemia o linfoma. Ad esempio, può essere complementare alla biologia molecolare e a volte più rapida nell’individuare due sottotipi molto importanti di leucemie acuta mieloide (la leucemia acute promielocitica e la leucemia acuta NPM1-mutata), in quanto la mutazione altera la localizzazione cellulare delle proteine bersaglio.

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