Patologie e Terapie

I PROGRESSI COMPIUTI NEGLI ULTIMI ANNI NEL TRATTAMENTO DELLA LEUCEMIA MIELOIDE CRONICA

Dicembre 2017

Massimo Breccia
Azienda Policlinico Umberto I - Sapienza Università di Roma

 

Dott. Massimo BrecciaNegli ultimi dieci anni significativi progressi sono stati registrati in campo prognostico e terapeutico per i malati affetti da leucemia mieloide cronica (LMC).

L’aspettativa di vita media di un paziente affetto da LMC è drasticamente cambiata sin dall’introduzione del primo inibitore tirosin-chinasico, imatinib, nel 2000.

Il miglioramento della sopravvivenza sembra essere in continuo aumento e, proiettato nel lungo termine, può anche essere causa di un notevole impatto economico, aumentando la prevalenza nel tempo di questa malattia.

I risultati di un recente studio del gruppo svedese, utilizzando dati da registro, hanno dimostrato che la vita media dei pazienti affetti da LMC è incrementata per le varie categorie di età considerate (55, 65, 75 e 85 anni) con un progressivo incremento dal 1990 ad oggi. L’incremento della vita media raggiunge il massimo nel 2013 e diventa simile a quello della popolazione generale.

È possibile dopo la diagnosi prevedere l’outcome a lungo termine dei pazienti che saranno trattati con inibitori tirosin-chinasici: due score prognostici sono stati proposti negli ultimi anni, sviluppati in coorti di pazienti trattati solo con imatinib.

Il primo è lo score EUTOS, che ha riconosciuto solo due variabili prognostiche (le dimensioni della milza e la conta dei basofili nel sangue venoso periferico) in grado di differenziare i pazienti in basso e alto rischio, misurando la probabilità di ottenere una risposta citogenetica completa entro 18 mesi di trattamento con imatinib.

Il secondo è lo score EUTOS Long-Term Survival (ELTS), in grado invece di prevedere il rischio di morte per malattia.

Entrambi permettono di definire una migliore prognosi del paziente all’esordio, anche se a tutt’oggi il rischio Sokal rimane forse il più utilizzato.

Imatinib è stato il primo inibitore ad essere utilizzato ed approvato dopo i risultati dello studio IRIS.

Tale protocollo è stato recentemente riportato con un follow-up di 10 anni, dimostrando una sopravvivenza globale dell’83.3%. Circa il 48% dei pazienti è rimasto in trattamento a lungo termine e l’83% dei pazienti ha ottenuto una risposta citogenetica completa.

Dal punto di vista della tossicità, nessun evento avverso nuovo è stato riportato e la frequenza degli eventi avversi è diminuita negli ultimi anni di trattamento.

Gli inibitori di seconda generazione, dasatinib e nilotinib, hanno avuto entrambi l’approvazione in prima linea dopo i risultati di studi sponsorizzati randomizzati con un confronto verso imatinib.

In entrambi i casi, i farmaci di seconda generazione hanno dimostrato una maggiore rapidità d’azione, permettendo di ottenere risposte molecolari profonde in tempi più rapidi. leucemia mieloide acuta

Questi risultati giustificano una riduzione significativa del numero di progressioni in crisi blastica e del numero degli eventi di resistenza, ma non hanno migliorato la sopravvivenza, già attestata al di sopra del 90% con imatinib.

Un terzo inibitore, bosutinib, è stato testato in seconda e terza linea con successo, permettendo di recuperare circa il 50% dei pazienti resistenti ad un primo inibitore; recentemente, sono stati riportati i risultati di un trial internazionale che ha testato questo farmaco in prima linea contro imatinib: come per i due farmaci precedenti, un vantaggio di rapidità nelle risposte molecolari è stato dimostrato con una riduzione significativa delle progressioni di malattia.

Un quarto inibitore, ponatinib, è in commercio e può essere utilizzato in pazienti resistenti e/o intolleranti ad un inibitore di seconda generazione, mentre un quinto (ABL001 o asciminib), è tuttora in via di sperimentazione.

Quest’ultimo è un inibitore con un meccanismo di azione completamente diverso dagli altri, che si legano in maniera competitiva alla proteina chimerica nel sito dell’ATP, legandosi invece nel sito allosterico e quindi verosimilmente progettato per essere utilizzato in combinazione.

Tutti i farmaci che sono a disposizione hanno un profilo di tossicità specifico con possibili eventi avversi “off-target” di tipo vascolare (ipertensione, occlusioni trombotiche cardiache o periferiche, aritmie) polmonare (versamenti pleurici e pericardici, ipertensione arteriosa polmonare), gastroenterico, metabolico, epatico: è quindi importante selezionare in maniera opportuna l’inibitore per evitare l’insorgenza di tali eventi avversi valutando le concomitanti comorbidità e il rischio cardiovascolare all’esordio, così da ridurre le interruzioni o le sospensioni del farmaco ed arrivare ad una risposta profonda.

Il nuovo endpoint da raggiungere nella LMC è la sospensione del trattamento o “treatment-free remission”.

ricercaPer perseguire tale strategia terapeutica con imatinib o con i farmaci di seconda generazione è necessario raggiungere una risposta molecolare profonda (almeno una MR4 o ratio BCR-ABL1/ABL < 0.01% IS) che rimanga stabile per più di 2 anni e un lungo trattamento superiore ai 5 anni: diversi trial (STIM1, TWISTER, ISAV, EURO-SKI, ENESTFreedom, DASFREE) hanno confermato che circa il 40-50% dei pazienti che sospende imatinib o i farmaci di seconda generazione può rimanere senza trattamento farmacologico a lungo termine.

Il tipo di inibitore, la profondità della risposta, le caratteristiche del paziente al basale (età, sesso) o della malattia (rischio Sokal o EUTOS) non sembrano influenzare la probabilità di recidiva.

Molti dei trial citati hanno utilizzato la perdita della risposta molecolare maggiore come definizione di recidiva.

La strategia terapeutica della sospensione programmata e controllata (richiede un monitoraggio molecolare mensile almeno nei primi sei mesi) ha cambiato radicalmente l’approccio e il colloquio iniziale al paziente.

Nei prossimi anni per questa patologia si prevedono approcci farmacologici di combinazione atti a migliorare la qualità della risposta molecolare profonda per arrivare in tempi più rapidi a una possibile sospensione del trattamento.

La ricerca intanto continua, e lo scopo futuro è di poter eradicare completamente la cellula staminale Philadelphia positiva, responsabile della malattia.

 

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