I PAZIENTI EMATOLOGICI SONO PIù A RISCHIO
In Italia sono 33 mila ogni anno le persone che ricevono una diagnosi di un tumore del sangue. Oggi questi pazienti sono ancora più a rischio, non solo perché devono combattere la malattia ma anche perché sono due volte più fragili del resto della popolazione di fronte all’infezione da Covid-19.
A confermarlo è uno studio promosso dalla SIE - Società Italiana di Ematologia, pubblicato ad ottobre su The Lancet Haematology: tra il febbraio e il maggio 2020 sono stati seguiti 536 pazienti con un tumore del sangue e positivi al Coronavirus, il 37% di questi è deceduto. Un tasso di mortalità che è 2,4 volte superiore rispetto a quella della popolazione generale e 41,3 volte maggiore rispetto a quella osservata nei pazienti onco-ematologici prima della pandemia.
Abbiamo intervistato Il prof. Sergio Amadori, Presidente Nazionale AIL, sui risultati di questa ricerca, per capire meglio come i malati e le loro famiglie devono affrontare la recrudescenza del virus, anche grazie al supporto di AIL.
Professore, perché i pazienti ematologici sono particolarmente fragili di fronte all’infezione da Covid-19?
Le ragioni sono da individuare nelle cure che seguono i malati: la chemioterapia, l’immunoterapia, il trapianto di midollo e anche le terapie più innovative, come le infusioni di Car-t, da una parte salvano la vita ai pazienti, con tassi di guarigione generale che sfiorano il 70%, dall’altro inducono però uno stato di immuno-depressione che rende molto più vulnerabili alle infezioni, compresa quella da COVID-19. Inoltre molti malati ematologici, soprattutto quelli anziani, sono affetti da patologie concomitanti e questo li rende ancora più fragili.
La polmonite bilaterale che si sviluppa in seguito alla malattia da COVID-19, quindi, ha un impatto molto più forte sui pazienti affetti da una leucemia, da un linfoma o da un mieloma, poiché sono già immunocompromessi e fisicamente più deboli.
Quali consigli può dare ai malati e alle loro famiglie per cercare di limitare i rischi?
Senza dubbio in questo momento è importante seguire le regole generali già note da tempo: rispettare il distanziamento sociale, usare sempre la mascherina, lavare e disinfettare le mani, evitare il più possibile luoghi affollati. Questo vale non solo per il paziente e i familiari, ma per tutta la popolazione: anche chi non è a rischio deve rispettare queste norme di sicurezza perché, come abbiamo visto, a pagare il prezzo più alto sono le persone più fragili.
Consiglio inoltre ai pazienti di consultare spesso lo specialista di riferimento per evitare di andare in ospedale se non quando strettamente necessario. Molte terapie orali e le prestazioni come i prelievi o le trasfusioni possono essere oggi erogate a casa, quindi bisognerebbe evitare di affollare Day Hospital e ambulatori se non si hanno indicazioni precise dall’ematologo di riferimento.
Infine aggiungerei un’ultima indicazione, rivolta in primis ai familiari dei pazienti: vaccinatevi contro l’influenza stagionale, perché questo riduce ulteriormente l’eventualità di esporre il malato ad infezioni.
Cosa sta facendo AIL per supportare i pazienti in questo periodo così difficile e per limitare i rischi cui sono esposti?
Già durante la fase 1 dell’emergenza, lo scorso febbraio, AIL ha messo in campo una serie di strumenti importantissimi, che abbiamo attivato non appena capito l’impatto che il virus avrebbe avuto sui malati ematologici in particolare. Ecco cosa abbiamo fatto e cosa stiamo continuando a fare:
• Potenziamento delle cure domiciliari: il 40% delle sezioni locali AIL che erogano il servizio lo ha potenziato, incrementando il numero di persone assistite. Lì dove possibile, abbiamo trasferito a casa del paziente molte prestazioni dei Day Hospital ematologici e degli ambulatori, permettendo di ridurre gli accessi agli ospedali e così il rischio di esposizione ad infezioni;
• Supporto ai reparti: siamo in contatto costante con i reparti di Ematologia italiani per fornire materiale di consumo e sostegno economico su segnalazione delle strutture sanitarie;
• Donazione DPI: abbiamo donato e continueremo a donare dispositivi di protezione individuale (mascherine, guanti, schermi, camici) a reparti, pazienti e personale sanitario;
• Consegne a domicilio di spesa e farmaci: Abbiamo attivato servizi di consegna a domicilio di farmaci ma anche di beni alimentari, di modo che i pazienti in fase di cura non siano costretti ad uscire se non quando strettamente necessario;
• Potenziamento servizi telefonici di informazione e supporto: Abbiamo potenziato i servizi di consulenza telefonica con esperti ematologici, psicologici e di diritti del lavoro. In questo modo malati e caregiver possono avere informazioni aggiornate e avere un sostegno emotivo anche dalla propria abitazione.
Il medico parla di “diagnosi” e il paziente traduce “paura”; il medico dice “recidiva” e il paziente recepisce “angoscia”. Quando lo specialista accenna al “trattamento”, al paziente viene in mente “sopportazione”. Sono solo alcuni esempi di come le parole chiave in oncologia e onco-ematologia possono risuonare diversamente e vengano decodificate in modo differente da chi cura e da chi è curato. Lo specialista concentrato sulla precisione e la neutralità tecnica, il paziente condizionato da una forte componente emotiva.
Questa “interruzione comunicativa” è uno degli ostacoli che si frappongono alla comprensione reciproca e alla qualità della relazione medico-paziente, rallentando la piena comprensione dei bisogni psicosociali dei pazienti oncologici e onco-ematologici, che spesso emergono attraverso le sfumature del linguaggio.
Favorire la costruzione di una lingua comune in oncologia è l’obiettivo de “Il senso delle parole – Un’altra comunicazione è possibile” una campagna di comunicazione che risponde all’esigenza di migliorare la qualità delle relazioni tra persone con tumore, medici e caregiver proprio a partire dalla parola, elemento chiave della relazione di cura.
La campagna è promossa da Takeda in partnership con AIL – Associazione Italiana contro le Leucemie-Linfomi e Mieloma Onlus; AIPaSIM – Associazione Italiana Pazienti Sindrome Mielodisplastica; Salute Donna Onlus, SIPO – Società Italiana di Psico-Oncologia e WALCE onlus – Women Against Lung Cancer in Europe e con il patrocinio della Fondazione AIOM.
Da oggi fino al prossimo 8 novembre, sulla piattaforma web www.ilsensodelleparole.it pazienti, caregiver e specialisti potranno indicare i significati che associano a un gruppo di vocaboli importanti che articolano la relazione di cura, una prima mappatura messa a punto da un gruppo di ricercatori guidati da Giuseppe Antonelli, Professore Ordinario di Linguistica italiana all’Università degli Studi di Pavia, sulla base dell’analisi del sentiment in rete, focus group con medici e pazienti e criteri lessicologici e sociolinguistici. Dalla consultazione scaturirà, sotto la supervisione di un Board tecnico-scientifico, il Dizionario Emozionale, un Atlante delle 10 parole chiave in oncologia con i significati condivisi tra specialisti e pazienti da diffondere nei Centri oncologici e nelle sezioni delle Associazioni.
«Le incomprensioni tra medico e paziente possono avere ricadute negative sulle cure oltre che sulla relazione –– afferma il professor Giuseppe Antonelli - poter collaborare tutti insieme, linguisti, clinici, pazienti, associazioni dei pazienti, sociologi, psicologi, è un’ottima occasione per cominciare a colmare quel ritardo tra ricerca di una lingua comune e ricerca terapeutica. Da qui l’originalità dell’iniziativa “Il senso delle parole” di Takeda e l’idea di arrivare a definire un vocabolario condiviso, capace di contribuire al miglioramento della relazione medico-paziente grazie ad una collaborazione, anche linguistica, fondata sulla fiducia e l’empatia».
Le parole tra medico e paziente sono considerate a tutti gli effetti come “momento di cura” (Legge 219 22/12/2017) eppure, non sempre c’è concordanza tra ciò che dice il medico e quanto percepito dal paziente specie quando si tratta di comunicare la diagnosi e il percorso terapeutico. La comprensione è fondamentale per costruire una relazione che curi, intesa come qualcosa che sottende anche ascolto profondo e attenzione per l’altro. In tal senso l’onco-ematologia come l’oncologia necessitano oggi di un nuovo lessico per evitare i fraintendimenti che nuocciono al medico e al paziente.
Ma quali sono, secondo la ricerca preliminare coordinata dal professor Antonelli, le altre possibili associazioni che si creano tra le parole dello specialista e il linguaggio emotivo del paziente? Come risuona il lessico medico nel vissuto del paziente? L’analisi dei rimandi interni e delle risonanze analogiche, suggerisce di collegare la parola “tumore” pronunciata dal medico alla parola “morte” registrata dal paziente, “prevenzione” a “salute”, “remissione” a “sopravvivenza”, “intervento” a “rischio”, “cronicizzazione” a “tempo”.
Se il medico parla di “ricerca”, il paziente pensa soprattutto alla possibilità di una “cura”, la parola “prognosi” accende la “speranza” mentre la PET viene decodificata come controllo.
Si tratta di significati che saranno approfonditi e verificati attraverso la consultazione che coinvolgerà pazienti e specialisti non solo sul web ma anche tramite alcuni tavoli di confronto tra oncologi, oncoematologi e rappresentanti delle associazioni dei pazienti e un questionario che sarà distribuito miratamente sempre grazie alle associazioni dei medici e dei pazienti.
Punto di arrivo della campagna, insieme al Dizionario Emozionale, sarà la “Carta dei bisogni psicosociali” sottoscritta da tutti i partner del progetto per invitare la comunità oncologica a favorire un nuovo stile di comunicazione e promuovere una maggiore attenzione ai bisogni psicosociali dei pazienti attraverso un miglioramento della qualità della relazione e del linguaggio.
Con questa iniziativa Takeda conferma la propria scelta di essere al fianco dei pazienti oncologici e oncoematologici, non solo per quanto riguarda gli aspetti strettamente terapeutici, sulla base della comune aspirazione: ‘curare il cancro’.
«La campagna “Il senso delle parole” nasce da una delle priorità di Takeda che ogni giorno si chiede cosa si può fare di più per i pazienti, oltre che mettere a loro disposizione ricerca e innovazione - commenta Annarita Egidi, Direttore Business Unit Oncology di Takeda -Da qui, la convinzione che bisognasse coinvolgere i principali interlocutori coinvolti nel percorso assistenziale dei pazienti per approfondire il sentito, le emozioni e i loro bisogni nell’intento di trovare una lingua comune che possa aiutare tutti gli attori coinvolti nella battaglia contro il cancro. Non sempre c’è una piena comprensione da parte dl paziente di ciò che gli accade e spesso le parole, normali per il clinico, scatenano sul paziente effetti devastanti. Conoscere cosa genera una parola nell’animo e nella mente del paziente è fondamentale affinché si possa gestire meglio la relazione medico-paziente e aiutare quest’ultimo nel suo lungo percorso di cura».