Leucemia mieloide acuta: la combinazione azacitidina e venetoclax

La leucemia mieloide acuta è una malattia aggressiva, particolarmente complessa da trattare nei pazienti anziani o fragili. Un articolo pubblicato Blood analizza le sfide e i dilemmi legati alla combinazione azacitidina-venetoclax

Leucemia mieloide acuta: la combinazione azacitidina e venetoclax

La leucemia mieloide acuta è una malattia aggressiva, particolarmente complessa da trattare nei pazienti anziani o fragili.

Il farmaco venetoclax ha ottenuto l’approvazione definitiva nell’ottobre 2020 per l’uso nei pazienti anziani fragili con leucemia mieloide acuta, in associazione con agenti ipometilanti o con citarabina a basso dosaggio.

Nonostante l’uso diffuso della combinazione azacitidina-venetoclax e la sua efficacia, si riconosce sempre di più che tale regime è mielosoppressivo e associato spesso ad un rischio infettivo maggiore rispetto alla sola azacitidina. Per questa ragione un articolo recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista Blood analizza – affrontando quattro casi specifici – le sfide e i dilemmi che si incontrano nella pratica clinica e suggerisce un possibile percorso per una gestione più sicura della combinazione azacitidina-venetoclax in ambito clinico.

Efficacia e Tossicità di azacitidina-venetoclax

L’efficacia di azacitidina-venetoclax è stata confermata negli studi clinici, ma nei dati real-world i risultati sono leggermente inferiori, con sopravvivenza mediana intorno ai 9-13 mesi. La gestione delle complicanze infettive e della mielosoppressione è uno dei punti cruciali.

Nel primo caso presentato dallo studio pubblicato, un uomo di 75 anni con leucemia mieloide acuta mutata NPM1 ha raggiunto remissione completa e negatività della malattia minima residua dopo 4 cicli di azacitidina-venetoclax, mantenendo la terapia oltre 12 cicli prima di sospenderla con successivo monitoraggio. La gestione precoce e rigorosa della sindrome da lisi tumorale nella prima fase della terapia (induzione) e l’uso tempestivo del fattore di crescita (G-CSF) nella fase post-terapia e cioè di mielosoppressione, hanno consentito di ridurre due tossicità importanti e purtroppo possibili in tale setting di pazienti. Gli Autori mettono in evidenza quanto complessa sia la gestione del Paziente anziano con LAM trattato con Azacitina+Venetoclax sia in regime ambulatoriale che ricoverato; è necessario informare il paziente e i caregiver del percorso terapeutico, della corretta assunzione dei farmaci di supporto (antibiotici, antimicotici etc), del rispetto rigoroso dei controlli ematochimici ambulatoriali. Fondamentale e l’organizzazione ambulatoriale del team medico, infermieristico che prende in carico il management del paziente in trattamento con Ven+Aza

Nel secondo caso, un uomo con mutazione FLT3-ITD e numerose comorbilità è stato trattato con azacitidina-venetoclax, ottenendo una remissione parziale. Nonostante l’iniziale risposta, è avvenuta una recidiva dopo 8 cicli. Nei pazienti FLT3-mutati, azacitidina-venetoclax mostra buone risposte iniziali ma spesso il beneficio è limitato nel tempo, e il ruolo di inibitori FLT3 (come gilteritinib) è ancora oggetto di studio.

Nel terzo caso, un paziente con leucemia mieloide acuta con TP53 mutato ha avuto una risposta transitoria con azacitidina-venetoclax e successivo trapianto allogenico, ma è ricaduto rapidamente, confermando la prognosi particolarmente sfavorevole di tale mutazione. Nei pazienti con TP53 mutato, trattamenti meno mielosoppressivi o cure di supporto sono spesso da preferire.

Nel quarto caso, una paziente con recidiva molecolare da NPM1 ha ricevuto azacitidina-venetoclax, ottenendo remissione prima di sottoporsi a trapianto. Studi recenti indicano che intervenire già alla recidiva molecolare, prima della ricaduta morfologica, può migliorare la prognosi nei pazienti con NPM1 mutato.

Conclusioni

L’associazione azacitidina-venetoclax rappresenta oggi uno standard di cura nei pazienti con leucemia mieloide acuta anziani o fragili non elegibili a chemioterapia intensiva. La gestione personalizzata del trattamento, soprattutto nella fase post-remissione, è fondamentale per cercare di ridurre le potenziali tossicità.

Le risposte sono particolarmente buone nei pazienti con mutazioni NPM1 o IDH, mentre rimangono limitate nei pazienti con mutazione TP53 e/o con recidiva precoce.

La terapia può essere modulata nel tempo (riduzione della durata del venetoclax e intervallo tra i cicli) per migliorare la tollerabilità a lungo termine. Il monitoraggio molecolare della malattia minima residua si conferma uno strumento prezioso non sempre però applicabile nella pratica clinica per guidare le decisioni terapeutiche nei pazienti a rischio di recidiva. Sicuramente l’associazione AZA+VEN rappresenta uno strumento terapeutico efficace per i pazienti anziani con LAM,non elegibili a strategie terapeutiche intensive; è necessario però un’attento monitoraggio clinico per monitorare efficacia e tossicità con il coinvolgimento attivo anche degli infermieri e dei caregiver.

Fonte

Blood 2025 Mar 20;145(12):1237-1250

https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/39316723/