La storia di Nicolas Burdisso

    La storia di Nicolas Burdisso

    Quando la leucemia non mi ha fatto gol
    Nicolas Burdisso, classe 1981 è un difensore della A.S. Roma e della Nazionale Argentina. La sua storia comincia nel 2004 quando, appena trasferitosi in Italia alla corte dell’Inter, scopre che sua figlia Angelina è affetta da una leucemia acuta. Per seguire le cure decide di tornare in Argentina insieme alla famiglia, restando lontano dalla squadra per molti mesi, compromettendo la sua carriera. Ma questo, ci spiegherà, non era importante quanto la sua “niña”.

    Nicolas, come ha scoperto della malattia di sua figlia?
    «È stato un giorno a casa di un mio compagno di squadra (Cambiasso ndr), all’epoca giocavo nell’Inter ed ero appena arrivato in Italia. Angelina, che aveva appena 2 anni, cadde e batté la testa così forte da fargli uscire un bernoccolo. Lì per lì non mi preoccupai di niente perché i bambini sono così; vivaci e non stanno mai fermi un attimo. Ciononostante questo piccolo ‘bozzo’ non andava via e decidemmo di andare all’Ospedale Niguarda di Milano per fare un controllo».

    Le diagnosticarono subito la malattia?
    «No, all’inizio ci dissero che facevamo bene a non preoccuparci e che tutto sarebbe passato. Per le vacanze di Natale siamo andati a casa in Argentina e anche lì i dottori ci dissero che non era nulla di grave».

    In tutto questo Angelina come si comportava?
    «Lei era assolutamente normale, era solo un po’ nervosa quando dovevamo entrare negli ospedali…Ed infatti verso gennaio 2005 siamo tornati al Niguarda quando il bernoccolo cominciava a crescere leggermente. Ci dissero che era meglio toglierlo, che si era calcificato ma che sarebbe stato un intervento banale, semplice da effettuare».

    Dove si è operata?
    «L’abbiamo portata a Buenos Aires perché era più semplice a livello burocratico. Essendo argentini ci dava più vantaggi e soprattutto potevamo velocizzare l’intervento. E così è stato subito dopo il suo compleanno per non rovinargli la festa. Dentro di me ero sereno e finalmente potevo ritornare ad allenarmi con i miei compagni e concentrarmi sul campionato».

    Cosa successe subito dopo?
    «Era l’8 marzo e avevo appena finito gli allenamenti quando ho ricevuto una telefonata, ‘la telefonata’ che ti cambia la vita. La biopsia era chiara e aveva diagnosticato alla mia bambina una leucemia linfoblastica acuta. Quelle parole suonavano a una sentenza e io in quel momento non capii più nulla. Ero cosciente solo che ‘mi niña’ doveva passare dei mesi terribili di chemioterapia e che aveva bisogno di tutta la sua famiglia al suo fianco, a cominciare dal suo papà».

    Ma lei si trovava qui in Italia a giocare, mentre Angelina era a Buenos Aires…
    «Ci sono cose che non hanno prezzo, e un figlio è quanto di più prezioso per un padre. Ero convinto di fare la scelta giusta nel tornare nel mio paese, anche se questo avrebbe compromesso la mia carriera e il mio contratto con l’Inter. Fortunatamente tutta la dirigenza, a cominciare dal Presidente Moratti, mi appoggiò in tutte le mie scelte e mi diede l’opportunità di stare con la mia famiglia e seguire le cure di Angelina».

    Ha fatto una scelta importante.
    «Forse perché svolgo una professione che è sotto gli occhi di tutti e quindi si da maggiore risonanza, ma credo che qualunque padre avrebbe fatto lo stesso. Ho seguito soltanto il mio cuore e il mio istinto. Non ho fatto nulla di speciale perché non conoscevo nessun’altra soluzione».

    Voi calciatori siete visti come idoli, personaggi giovani e forti ai quali è difficile pensare che possa accadere qualcosa di brutto. Come ha reagito nel vedersi catapultato in una realtà così toccante e sconosciuta fino a quel momento?
    «Non è stato certo facile; vedi il dolore e provi tristezza. Intorno a te noti una continua lotta e un senso d’incertezza delle persone che hanno bisogno di essere rassicurate. Personalmente la fede in Dio e la voglia di rivedere mia figlia in buona salute ha cacciato via il timore e la paura per lasciare spazio alla forza della speranza. Inoltre, ed è importante dirlo, ci sono persone straordinarie che ti aiutano in questo percorso così doloroso; dai medici agli infermieri ai volontari».

    Come ha reagito Angelina a tutto questo trambusto?
    «Devo dire che non l’ho mai vista male, mai demoralizzata. I bambini sono così, spesso più forti di noi e cambiare ambiente, nazione e continente per andare in un reparto durante otto mesi a fare chemioterapia deve essere dura per chiunque, ma Angelina ha reagito benissimo ed è stata proprio lei a darci la forza per andare avanti. Noi non abbiamo fatto nulla, è lei che ha vinto la sua battaglia da sola».

    Come sta adesso?
    «Adesso ha sei anni e da marzo scorso (2009) ha terminato il periodo di controlli. Sta benissimo e ogni giorno che passa si allontana sempre più da quella malattia. È normale che quando ha un po’ di febbre ci preoccupiamo e il ricordo ci riporta ai tempi brutti, ma poi questa paura passa immediatamente».

    Perché ha deciso di raccontare la sua storia?
    «Sono tante le persone che soffrono e, anche se è dura, c’è bisogno d’informazione così anche io posso dare il mio piccolo contributo. Parlarne può dare forza e speranza a chi ora sta vivendo quello che io ho vissuto e sono contento di raccontare la storia di mia figlia al giornale dell'Associazione che combatte la leucemia. So quanto è importante una struttura che aiuta le famiglie con i volontari e la ricerca con la raccolta di fondi».

    Un messaggio a chi soffre?
    «Non è facile essere sempre positivi e ottimisti. Io posso consigliare di fidarsi e lasciarsi guidare dai medici che sono persone competenti e che conoscono queste realtà. Nella vita non bisogna mai mollare la presa, e in queste occasioni è importante tenere i nervi saldi e avere fiducia. Perché molti tipi di leucemie sono ora guaribili».

    Lorenzo Paladini
    Foto: Roberto Tedeschi

    Testo tratto da Destinazione Domani anno 5 numero 1 – marzo 2010

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