Buongiorno vita
Maggio 2021, diciott’anni fatti da qualche mese. Ero in classe, all’improvviso sento un forte dolore al petto. Dopo giorni di ricovero tra tac, esami e biopsia il verdetto è stato: Linfoma di Hodgkin al quarto stadio B. I miei capelli lunghi biondi ho dovuto salutarli insieme a quella spensieratezza che caratterizza ogni adolescente. Tante persone intorno a me si sono spaventate e allontanate ma nella malattia ho trovato l’amore, Luca. Le terapie sono lunghe, toste ma si può guarire. Il supporto psicologico in questi casi non deve mancare mai e ringrazio la mia struttura ospedaliera per avermelo dato. Devo tutto a loro e alla ricerca, senza la quale io non potrei raccontare la mia storia. La paura ti resta addosso ma la vita mi ha dato una nuova possibilità che non va sprecata…
Buongiorno vita. Questa era la canzone che ascoltavo tutte le volte che andavo in ospedale a fare la terapia. Un promemoria, per ricordarmi che per quanto la vita in quel momento fosse stata infida mi aveva dato la possibilità di combattere.
Maggio 2021, diciott’anni fatti da qualche mese. Ero in classe, all’improvviso sento un forte dolore al petto. Avendo sofferto di attacchi di panico tutti pensarono che fosse soltanto un nuovo episodio. Io avevo imparato a riconoscerli gli attacchi di panico e sapevo bene che quello non lo era. Anche perché qualche sera prima mi sentii un linfonodo ingrossato al livello della clavicola per cui stavo facendo accertamenti. Il dolore non passa e decidono di chiamare l’ambulanza. Mi portano in pronto soccorso e iniziano a farmi tutti gli accertamenti del caso, nel frattempo io stavo studiando per il compito di chimica del giorno dopo. Mi stranisco perché decidono di farmi una radiografia al torace, poco dopo averla fatta mi chiamò la dottoressa per dirmi che mi avrebbe ricoverata.
Nel 2021 eravamo ancora nel periodo del Covid, avevo appena diciott’anni e in quel pronto soccorso ero sola. Non ci pensai un attimo, alla parola ricovero scappai letteralmente fuori dal pronto soccorso in lacrime per andare da mia mamma. Piangevo e le dicevo che non potevo stare chiusa in ospedale perché dovevo andare a scuola, dovevo vedere il mio fidanzatino di quel tempo, vedere le mie amiche. Piangevo e avevo paura perché non capivo cosa stesse succedendo, anche se in cuor mio sapevo che era una cosa seria. Tant’è che quando sentii la prima volta il linfonodo ingrossato mandai un messaggio ad una mia amica scrivendogli “Io me lo sento, ho un tumore”. E così è stato, dopo giorni di ricovero tra tac, esami su esami e biopsia il verdetto è stato: Linfoma di Hodgkin al quarto stadio B.
È stata una doccia fredda. Io quel compito di chimica non l’ho più fatto, a scuola sono tornata solo un anno e mezzo dopo per lo scritto della maturità, e la mia vita non è stata più la stessa. I miei capelli lunghi biondi ho dovuto salutarli insieme a quella spensieratezza che caratterizza ogni adolescente. Tante persone intorno a me si sono spaventate e allontanate, non sapevano come rapportarsi senza sbagliare qualcosa. Quel fidanzatino per cui piangevo fuori dal pronto soccorso se n’è andato.
Ho trovato però la forza di reagire, in quei sei mesi di chemioterapia sfruttavo ogni momento in cui stavo bene per cercare di vivere al massimo. Sentivo che il tempo poteva essere limitato e che ogni momento poteva essere l’ultimo. Nella malattia ho trovato l’amore, Luca. Mi ha conosciuta all’inizio del secondo ciclo di chemioterapia e non mi ha più lasciata. Passavamo le notti in macchina ad ascoltare la musica e a piangere per la paura di non avere abbastanza tempo per noi. Io all’inizio tentai di allontanarlo per paura di farlo soffrire, ma lui ogni volta mi ricordava che insieme eravamo due supereroi e che ce l’avremmo fatta. Insieme. L’amore è stato il carburante che mi faceva andare avanti, letteralmente.
Sono stata forte io, posso dirlo, ma sono state forti le persone che hanno scelto di esserci perché non mi hanno fatto mai pesare niente. Mamma non ha mai pianto davanti a me, il suo compagno mi faceva le punture di eparina tutte le sere alla solita ora diventando il mio infermiere personale. Della Michela diciottenne non c’era più niente, c’era una pagina bianca tutta da riscrivere. Ma come la riscrivi una pagina bianca quando dentro ti porti un dolore e una paura così grande? Io sinceramente ancora non lo so. So che sono viva, so che ho il dovere per me e per chi non ce l’ha fatta di vivere al meglio la vita. So che non deve essere sprecato nemmeno un minuto. So che la paura non deve inquinare quello che la vita di bello può offrirci. So che è difficile ma allo stesso tempo non è impossibile. C’è tanto da lavorare, da ricostruire e da elaborare. Ma finché c’è la possibilità di farlo vuol dire che c’è vita.
Il supporto psicologico in questi casi non deve mancare mai e ringrazio la mia struttura ospedaliera per avermelo dato. Ho trovato dei dottori e delle infermiere eccezionali, che non mi hanno mai illusa ma allo stesso tempo non mi hanno mai scoraggiata. Devo tutto a loro e alla ricerca, senza la quale io non potrei raccontare la mia storia. Vorrei fare di questo una mia missione personale, raccontando ciò che ho vissuto. Dare un senso a questo dolore cercando di aiutare chi è nella mia stessa situazione, dando speranza. Le terapie sono lunghe, toste ma si può guarire. La parola TUMORE ti fa tremare ma la gente deve sapere che ad oggi ci sono anche tante cure, che esiste la prevenzione, che bisogna controllarsi sempre. Mi hanno sempre chiamato guerriera, io non lo so se lo sono stata e non so nemmeno se merito questo appellativo. So solo che sono qui ora, che la paura ti resta addosso ma che la vita mi ha dato una nuova possibilità che non va sprecata… E così buongiorno vita.
Michela
Storie di combattenti