Storia di Fiorangela

    Storia di Fiorangela

    Era la fine del settembre del’95
    Durante l’estate ero stata in Corsica come animatrice turistica, poi a Genova, per uno stage. Avevo passato quattro mesi intensi. Mi sentivo molto stanca e in più mi ritrovavo con un grosso livido a una gamba. Sulle prime pensai a un colpo preso giocando con la mia squadra a pallavolo. Non era così. Su insistenza di mia madre feci alcuni esami del sangue. Qualche valore risultò sballato; ripetei gli esami e i medici mi dissero di iniziare una cura a base di cortisone. Finalmente io (e mia madre) ci rivolgemmo al dottor Agostino Tafuri, un ematologo salernitano che lavora all’Università La Sapienza di Roma: fu lui per primo a intuire la gravità della situazione.

    La conferma delle sue paure purtroppo arrivò il 19 ottobre. Il 17 ero stata ricoverata a Roma. Un prelievo midollare ed ecco, due giorni dopo, la “sentenza”: leucemia mieloide acuta. Il responso fu comunicato a mia madre, che però non ebbe il coraggio di avvertirmi. Era disperata. A informarmi, furono gli stessi medici: “Devi sottoporti alla chemioterapia”, mi dissero. “Ti cadranno i capelli”. Piansi e per tre giorni fui come in trance. Dopodiché iniziai con la chemioterapia. Una cura dolorosa, tanto da indurmi a chiedere l’assunzione della morfina. Sono stati momenti davvero terribili. Ricordo, ero in una stanza sterile, persi venti chili e mi caddero tutti i capelli. Sognavo di uscire dall’ospedale, anche se in quel luogo, in fondo, ricevevo le cure su cui si fondava la mia aspettativa di vita. Dopo cinquanta giorni sono stata dimessa una prima volta. Tornai a casa, ma passati altri quattro giorni, la dottoressa Petti, che si occupava di me, mi chiese di rientrare per un altro ciclo di chemio: “Bisogna battere il ferro finchè è caldo” mi spiegò. Così rimasi a Roma fino al 30 dicembre. Poi chiesi di uscire perché non ce la facevo proprio più». La remissione delle cellule, comunque, era completa.

    La chemioterapia aveva funzionato, secondo i medici, però, dovevo sottopormi al trapianto del midollo, anzi all’autotrapianto, visto che nessuno dei miei parenti era compatibile. Sono stata operata il 15 aprile 1996, il 5 giugno ho lasciato Roma e ancora oggi mi sottopongo a controlli periodici: la malattia è scomparsa e, anche se nessuno può darmi la certezza che non si ripresenti, mi sento bene. Dopo tutto quello che ho passato, una cosa la posso dire, e senza vestire i panni dell’eroina. Io ce l’ho messa tutta e il miracolo, grazie anche all’assistenza e alle cure che mi sono state dedicate, si è avverato.

    Ho anche ricordi bellissimi
    Di quei nove mesi di inferno, trascorsi fra cure, speranze e paure, paradossalmente ho anche ricordi bellissimi. Per esempio, non dimenticherò mai il sostegno dei miei amici. Mi viene in mente in particolare un giorno: quello del mio ventiduesimo compleanno. Era il 7 novembre del 1995. Erano arrivati in venti, con quattro auto, striscioni, trombe e una magnifica torta al cocco. Costretta a letto li sentivo, ma non avevo la forza di muovermi. Così gli infermieri mi sollevarono per permettermi di poterli scorgere e salutare. Quando mi videro ci fu un’ovazione e fui felice. Per quello che hanno fatto, per come si sono comportati, non ci sono parole.
    Poi… poi c’è stata anche una bellissima storia d’amore con un ragazzo. Lui mi piaceva da prima che iniziasse il mio calvario. Non avevo fatto in tempo a conoscerlo personalmente, così gli avevo aperto il mio cuore per il tramite di una comune amica. Dopo il mio ricovero, ci avevo messo una pietra sopra. L’isolamento cui ero costretta nella mia stanza d’ospedale mi impediva di incontrare altri se non i miei genitori e i miei fratelli. Un giorno, però, ricevetti una telefonata: era lui. Chiamava per farmi coraggio. Da quella volta le telefonate si sono susseguite. Stavamo ore a parlare, soprattutto la sera e fino a notte tarda. È stato straordinario. Mi ha dato tutto; non ha permesso che mi scoraggiassi. E anche quando, date le mie condizioni, gli dicevo di lasciarmi perdere, lui niente. La nostra storia è durata anche dopo l’ospedale. In tutto siamo stati insieme due anni e mezzo. E anche se ora è finita, non ho rimpianti. La mia gratitudine nei suoi confronti rimarrà sempre viva.

    Non potevo starmene con le mani in mano
    Oggi mi sento piena di energie. Mi cercano in tanti e questo mi rende felice. Dopo la battaglia fisica dovevo vincere quella mentale. Per sconfiggere le mie paure ho deciso di impegnarmi in mille modi. Sono tornata a giocare a pallavolo, ho iniziato a insegnare questo sport alle bambine, mi sono laureata in Economia del Turismo. Ma ciò di cui vado particolarmente fiera è l’aver dato vita, insieme alle famiglie Tulimieri e Cosentino, alla sezione AIL di Salerno. Non potevo starmene con le mani in mano. A Roma l’AIL ha fatto molto per me e per tante altre persone. La gente ci sta aiutando. La nostra sede è in Via Laurogrotto 19- rione Petrosino Salerno.
    Assistiamo i malati e contribuiamo alla ricerca, abbiamo potenziato il reparto di Oncoematologia presso l’ospedale “Umberto I” di Nocera Inferiore in provincia di Salerno, dove è stato attivato un progetto AutoTrapianto, abbiamo realizzato un Day Hospital per i bambini affetti da patologie oncoematologiche presso la Pediatria dell’Ospedale di Salerno e donato attrezzature per la radioterapia nelle cure dei Linfomi, e dunque anche qui al Sud cominciamo ad essere alla pari di altri grandi centri specializzati nella cura di queste malattie. Abbiamo tanti volontari che donano i cosiddetti “sorrisi” in reparto e tra i tanti ci sono anche io…….per dare tanta speranza a chi oggi lotta.
    Ho partecipato nel giugno 1998 al Gran Ballo delle debuttanti, il programma di Pippo Baudo, trasmesso da Canale 5, ma il grande avvenimento è stata la partecipazione nel settembre 2000 come testimonial al programma “Trenta ore Per la Vita”condotto da Lorella Cuccarini ……e tra le tante “battute” per sorridere all’emozione….ricordo una piacevole rima da me citata ”da Mandelli più sani e più belli”…ora giudicate un po’ voi…

    Fiorangela

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