Linfoma non Hodgkin (LNH)
I linfomi non Hodgkin (LNH) sono neoplasie che originano dai linfociti (B e T), cellule del sistema immunitario presenti nel sangue, nel tessuto linfatico di linfonodi, milza, timo e midollo osseo.
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Generalità
Le cause dei LNH non sono ancora del tutto chiare, ma esistono fattori che sembrano aumentare il rischio di malattia. Tra i fattori clinici vengono indicati uno stato di immunodepressione, malattie autoimmuni o infezioni virali croniche, come l’epatite C, o infezioni batteriche, come quella da Helicobacter pylori, che rappresenta la prima causa di linfoma primitivo dello stomaco.
Incidenza
I LNH rappresentano globalmente il 4-5% delle nuove diagnosi di neoplasia nella popolazione occidentale e in Italia sono la quinta forma di cancro più comune negli uomini e la sesta nelle donne. L’età mediana di insorgenza è compresa tra i 50 e 60 anni e l’incidenza tende a incrementare con l’aumentare dell’età. Il LNH può tuttavia presentarsi a ogni età. In Italia si calcolano 15-18 nuovi casi per 100.000 abitanti ogni anno.
Diagnosi e stadiazione
I LNH hanno una variabilità clinica importante. A oggi sono identificate più di 40 forme diverse di LNH, ciascuna delle quali è caratterizzata da un peculiare quadro istologico, immunoistochimico e genetico-molecolare, a cui segue un diverso andamento clinico e quindi uno specifico approccio terapeutico.
In caso di sospetta diagnosi di LNH è innanzitutto necessario sottoporsi rapidamente a una accurata visita medica. L’ingrossamento dei linfonodi del collo, ascelle o inguine in assenza di dolore è spesso il più frequente e unico segno di linfoma. Possono essere presenti sintomi sistemici come febbre, sudorazione notturna, perdita di peso e prurito persistente.
La diagnosi di LNH viene posta esclusivamente attraverso la biopsia di un intero linfonodo o di un campione congruo della massa tumorale. Le tecniche di agoaspirato linfonodale non assicurano l’attendibilità della diagnosi e non sono quindi sufficienti per una corretta caratterizzazione del tumore, mentre l’agobiopsia può essere adeguata.
Il tessuto prelevato deve essere analizzato da un emolinfopatologo esperto, in quanto un’accurata diagnosi istopatologica rappresenta la base per il successo delle future cure.
A completamento della diagnosi possono essere necessarie in alcuni sottotipi anche metodiche di FISH, che consentono di individuare specifiche traslocazioni geniche, che permettono di meglio definire il sottotipo di linfoma.
Le mutazioni geniche individuate con metodiche di biologia molecolare rivestono un ruolo sempre maggiore, anche se non sono ancora utilizzate routinariamente eccetto in alcuni sottotipi.
Una volta posta la diagnosi, il paziente deve essere sottoposto a ulteriori esami strumentali al fine di stabilire l’esatta estensione della malattia.
La TAC (tomografia assiale computerizzata, procedura radiologica) è essenziale nella stadiazione della malattia, ma negli ultimi anni è andato diffondendosi sempre più l’impiego della PET (tomoscintigrafia a emissione di positroni), specie in alcuni sottotipi di malattia. Oltre che nella fase di stadiazione iniziale, la PET può essere impiegata accanto alla TAC nella rivalutazione della risposta alla terapia, poiché permette una valutazione funzionale di attività della malattia presente. Per tale motivo la negatività della PET è considerata tra i criteri fondamentali per definire la risposta completa al trattamento in alcuni sottotipi di malattia.
La valutazione midollare con l’aspirato e la biopsia ossea viene spesso effettuata a completamento della stadiazione, per definire se il linfoma ha invaso tali sedi. In alcune forme aggressive, viene anche valutata la presenza di un’eventuale localizzazione a livello del sistema nervoso centrale con una puntura lombare diagnostica
Terapia
Storicamente, i LNH vengono suddivisi in linfomi indolenti (basso grado di malignità) e linfomi aggressivi (alto grado di malignità).
I linfomi indolenti presentano un andamento clinico più lento, che in genere consente una sopravvivenza di molti anni, anche quando non si ottiene l’eradicazione della malattia. In alcuni casi, selezionati in base alla presentazione clinica e all’età, il paziente nella fase iniziale può essere osservato in assenza di terapia (watch and wait) e quindi poi trattato se la malattia presenta una progressione clinica nel tempo.
Un grosso passo avanti dal punto di vista terapeutico è stato dato dall’utilizzo di anticorpi monoclonali, come il rituximab e l’obinotuzumab, in particolare diretti contro l’antigene CD20 espresso da tutti i linfomi a cellule B. Tali anticorpi hanno permesso di aumentare l’efficacia del trattamento rispetto alla sola chemioterapia.
Sebbene presentino elevate percentuali di remissioni e risposte durature con i moderni approcci di terapia, i linfomi indolenti tendono a ripresentarsi anche a distanza di diversi anni.
Tra i linfomi indolenti la forma più frequente è il follicolare, varietà che in base all’estensione di malattia e all’età del paziente può non richiedere trattamento, necessitare di una radioterapia localizzata, di anticorpi monoclonali da soli o in combinazione con chemioterapia. In caso di recidive, oltre alla combinazione di lenalidomide e rituximab, oggi sono disponibili nuove opzioni terapeutiche come gli anticorpi bispecifici (mosunetuzumab) e le cellule CAR T.
L’altra varietà comune di linfoma indolente è il marginale, che può coinvolgere i linfonodi ma spesso si localizza in maniera esclusiva o prevalente in altri organi, come lo stomaco o la milza. Alcune forme di linfoma marginale gastrico sono legate all’infezione da Helicobacter pylori, e possono andare in remissione in seguito all’eradicazione di questo, così come alcune forme di marginale splenico possono rispondere al trattamento del virus dell’epatite C se concomitante. In altri casi, è invece richiesta la chemioimmunoterapia. Inoltre, in caso di recidiva di questa forma di linfoma, può essere utilizzato zanubrutinib, un inibitore della tirosina chinasi di Bruton (BTKi) che ha ottenuto l’approvazione negli ultimi anni.
I linfomi aggressivi sono caratterizzati da un decorso clinico più rapido, che richiede spesso un trattamento tempestivo. La forma più frequente è il linfoma diffuso a grandi cellule B, che rappresenta da solo circa il 40% di tutti i linfomi aggressivi. Diversi studi hanno chiaramente dimostrato anche in queste forme il beneficio della combinazione di chemioterapia convenzionale (CHOP, combinazione di ciclofosfamide, vincristina doxorubicina e del cortisone) con l’anticorpo monoclonale rituximab (R-CHOP), con ottime possibilità di remissione a lungo termine di malattia. Inoltre, sempre in prima linea e nei pazienti ad alto rischio, è possibile utilizzare la combinazione di polatuzumab vedotin, un anticorpo monoclonale anti-CD79b coniugato a un farmaco antitumorale, con rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina e prednisone (R-CHP). Nei pazienti anziani sono impiegate spesso dose ridotte dei chemioterapici. Nei pazienti a più alto rischio di recidiva a livello del sistema nervoso centrale vengono anche somministrate punture lombari medicate con farmaci chemioterapici e/o farmaci ad alte dosi che penetrano a tale livello, come il metotrexato ad alte dosi. Altre terapie utilizzate in caso di recidiva includono la combinazione di polatuzumab vedotin con bendamustina e rituximab, anticorpi monoclonali (come tafasitamab), anticorpi coniugati con farmaci antitumorali (come loncastuximab tesirine), anticorpi bispecifici (come epcoritamab) e le CAR T, che possono essere usate anche nelle di trattamento successive.
In caso di recidiva il trapianto autologo è considerato, allo stato attuale, la terapia standard del paziente fino a 65-70 anni di età. Questo viene effettuato dopo aver effettuato una chemioterapia di salvataggio, che consente di ridurre la quantità di malattia e di facilitare la raccolta delle cellule staminali necessarie per il trapianto. Il trapianto da donatore (trapianto allogenico) comporta rischi maggiori; pertanto, la decisione sul suo impiego richiede una valutazione molto accurata del paziente e del suo stato di malattia, e viene oggi utilizzato meno frequentemente in questa patologia.
Alcune forme di linfoma aggressivo presentano un andamento particolarmente rapido e richiedono un approccio più intensivo dell’R-CHOP. Vengono utilizzati regimi polichemioterapici complessi + anticorpi monoclonali che non possono essere somministrati in regime di day hospital, ma richiedono spesso ricoveri abbastanza prolungati. Tali forme includono il linfoma di Burkitt e i cosiddetti linfomi double-hit e triple-hit.
Una forma particolare di linfoma aggressivo è il linfoma cerebrale, che nei pazienti giovani richiede regimi chemioterapici ad alte dosi in grado di penetrare nel sintema nervoso centrale, spesso seguiti dal trapianto autologo.
Il linfoma mantellare è poi un sottotipo particolare, che accanto a forme aggressive può talvolta presentare un andamento più cronico e indolente. Nella maggioranza dei casi, il trattamento dei giovani richiede polichemioterapia più complessa del solo R-CHOP, spesso seguita dal trapianto autologo già in prima linea. In caso di recidiva sono stati approvati due inibitori della tirosin-chinasi di Bruton, ibrutinib e pirtobrutinib. Sono in corso degli studi per valutare la combinazione di ibrutinib e venetoclax, inibitore di BCL-2, e i risultati preliminari sembrano essere promettenti. Più recentemente, il ruolo della terapia con CAR T sta emergendo anche in altre forme di linfoma B, come il mantellare.
Infine, i linfomi di linea T sono un gruppo molto eterogeneo, spesso con andamento piuttosto aggressivo. Il trattamento prevede polichemioterapia tipo CHOP, associata a volte ad altri farmaci come l’etoposide. Recentemente, in alcune forme di linfoma T esprimenti il CD30 è emerso il ruolo di brentuximab vedotin, un anticorpo monoclonale anti-CD30 coniugato a una molecola antitumorale. Un altro anticorpo che ha ottenuto l’approvazione è stato mogamulizumab , che si lega al recettore CCR4 e viene utilizzato nel trattamento di pazienti affetti da micosi fungoide o sindrome di Sézary, i principali sottotipi di linfoma cutaneo a cellule T.
Particolarità
L’avvento delle cellule CAR T ha rivoluzionato le possibilità terapeutiche dei pazienti con linfoma diffuso a grandi cellule B recidivati e refrattari dopo più linee di terapia. Grazie a modifiche del loro recettore, che va così a colpire in maniera specifica le cellule della malattia, questi linfociti ingegnerizzati sono in grado di attaccare il linfoma, ottenendo remissioni prolungate in una percentuale significativa di pazienti.
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