Terapia del dolore: Il dolore cronico oncologico

Combattere il dolore inutile è possibile:

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Il dolore cronico oncologico
Il dolore totale a fine vita
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Patologie

Il dolore totale alla fine della vita

I progressi della medicina moderna e tecnologica, hanno allungato la sopravvivenza dei pazienti affetti da patologie croniche progressive; nelle fasi avanzate di tali patologie è sempre più difficile identificare il confine fra terapie adeguate ed accanimento terapeutico e, a volte, capire se la sofferenza dei pazienti sia più legata alla patologia o agli effetti collaterali delle terapie. Spesso in queste situazioni il dolore è il sintomo prevalente, forse anche quello che più facilmente può essere controllato con un’adeguata terapia, ma quasi mai esso si presenta da solo, ma piuttosto è associato ad una serie di problematiche fisiche e psicologiche che vengono definite come Dolore totale: la depressione legata alla perdita della posizione sociale, del guadagno e del proprio ruolo familiare, il senso d’inutilità, la dipendenza, l’alterazione dell’aspetto fisico, i problemi burocratici, gli amici che si allontanano, i ritardi diagnostici, le difficoltà di comunicazione con i medici, la delusione per le risposte insoddisfacenti ai trattamenti e infine l’inevitabile paura legata alla consapevolezza, più o meno espressa, della morte, costituiscono alcuni degli aspetti che possono determinare lo stato psicologico di questi malati. Al dolore si associano altri sintomi che portano alla cachessia, come nausea e vomito, diarrea o stitichezza, disfagia per infezioni fungine o virali, incontinenza, prurito, insonnia, confusione mentale e molti altri. In tutto questo quadro sintomatologico così complesso è sempre presente e via via ingravescente, la sindrome astenia-anoressia: questo ultimo aspetto del dolore totale è quasi sempre presente ed è certamente il più critico perchè determina una grave sofferenza del malato, che non riesce neppure a cambiare posizione nel letto autonomamente nè ad assumere alcun tipo d’alimento, ma nello stesso tempo, la progressione della malattia, non potendo essere risolta con le terapie, crea frustrazione ed angoscia non solo per il malato e la sua famiglia, ma anche per l’equipe curante. In questi casi l’approccio della medicina tradizionale è quasi sempre destinato a fallire: i sintomi ed i segni sono importanti, attraverso di loro si può fare la diagnosi della malattia che diventa quindi l’oggetto ed il bersaglio dell’atto medico ma, in questi casi la diagnosi è chiara ed i sintomi sono così numerosi ed intricati da non poter essere trattati uno per volta, affrontando ogni peggioramento come se fosse un evento acuto, isolato, non collegato al precedente, alla situazione generale, e alla rapida evoluzione del quadro clinico che, in tempi più o meno rapidi, condurrà inevitabilmente alla morte. Occorre cambiare radicalmente la strategia dei nostri interventi ed iniziare il percorso delle Cure Palliative che all’inizio si affiancheranno alle cure volte al controllo della progressione di malattia, ma diverranno poi, nella fase più avanzata, le uniche possibili per permettere ai malati ed alle loro famiglie di convivere meglio con la loro sofferenza ed essere accompagnati fino alla morte con dignità. Il dolore totale è dunque un quadro complesso ed i vari sintomi che lo compongono sono percepiti in modo diverso e non possono essere interpretati oggettivamente dal medico. Da questo presupposto nascono e si sviluppano le Cure Palliative: portare al centro del percorso assistenziale il malato, dargli e darsi il tempo per valutare la sua sofferenza, instaurare una relazione terapeutica efficace per facilitare l’espressione delle sue volontà ed infine organizzare il percorso di cura più adeguato per quella persona, nel suo contesto ambientale e familiare, in quel momento della sua storia, non solo di malattia, ma della sua vita. Oltre ad un’adeguata terapia farmacologica, i presupposti fondamentali per un efficace approccio al dolore totale sono riassumibili in 5 punti. Ambiente di verità: non intesa come “verità burocratica” ma i curanti devono riconoscere i propri limiti, porsi obiettivi raggiungibili e proporre obiettivi condivisi con il malato e la famiglia. Ascolto: per dare e darsi il tempo, per capire, per agire o, a volte, per fermarsi se le terapie non sono utili.   Rispetto delle priorità del malato: queste possono anche cambiare nel corso dell’assistenza, ma in ogni caso, l’equipe curante deve adeguarsi. Condivisione: come disposizione solidale per facilitare l’espressione delle scelte e per seguire il percorso scelto. Tempo appropriato: per non farsi sorprendere dalla fase finale della malattia in cui tutto è più difficile.

Dott. Piero Morino Direttore dell’Hospice Azienda USL 10, Firenze.

Il dolore cronico oncologico

Il Dolore Cronico Oncologico (DCO) ha caratteristiche di Sofferenza Globale, essendo costituito da componenti fisico-organiche, psico-sociali, esistenziali, e spirituali. Il DCO è caratteristicamente un tipo di dolore cronico, con connotati di automantenimento, impatto sulla funzionalità fisica e influenza sul tono dell’umore. Possono comunque essere presenti momenti di recrudescenza acuta, spontanei o, in caso di localizzazioni ossee, legati al movimento (dolore “incidente”). Il dolore è presente nel 50% dei pazienti oncologici in qualunque fase e nel 70% di quelli in fase avanzata di malattia. La frequenza del dolore è notevolmente più bassa nelle malattie tumorali ematologiche, ad eccezione del mieloma multiplo, nel quale il coinvolgimento osseo può essere motivo non raro di dolore e per le complicanze legate alla terapia antiblastica intensiva e dopo trapianto di cellule staminali.  In generale, il dolore nei pazienti oncologici nel 70% dei casi è legato in modo diretto o indiretto alla malattia di base, nel 20% alle terapie effettuate, e nel 5-10% è indipendente dalle une e dalle altre. Il DCO va rigorosamente rilevato e trattato con strumenti vari, i più semplici dei quali sono rappresentati da scale numeriche da 0 a 10, alle quali riferire il livello di dolore accusato nella giornata o in un determinato momento. Il DCO può risentire favorevolmente delle terapie contro la patologia tumorale che provoca dolore. Se infatti si ottiene una risposta della malattia alle terapie, evento quanto mai frequente in Ematologia, anche il dolore si riduce prontamente. Fortunatamente oggigiorno il trattamento del dolore si può giovare di numerosissimi farmaci antidolorifici e coadiuvanti, che devono essere in grado di gestire in modo soddisfacente fino al 90-95% dei pazienti, lasciando di riserva per i casi resistenti altri tipi di intervento. L’utilizzo dei farmaci segue, a tutt’oggi, strategie terapeutiche che si richiamano alla Scala Analgesica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che prevede un approccio farmacologico a tre gradini (Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei e paracetamolo, Oppioidi deboli, e Oppioidi Forti), con l’integrazione di molteplici farmaci adiuvanti che esplichino la loro diversa azione in base al meccanismo prevalente del dolore. I farmaci vanno assunti dai pazienti a orari fissi. Una terapia regolare è molto più efficace di quella assunta esclusivamente in caso di necessità (“al bisogno”). Gli oppioidi forti rimangono la pietra miliare del trattamento del DCO e, nei casi di dolori difficili, possono essere ruotati o anche essere associati fra loro, fino a trovare quello più adatto. In casi selezionati, può essere utile l’utilizzazione di metodiche antalgiche invasive anestesiologiche o di altra natura. In particolare, in un tipo di dolore molto particolare come quello legato alle localizzazioni ossee, è opportuno il confronto di più specialisti in quanto il dolore può essere affrontato con terapie diverse, quali la radioterapia, la terapia radiometabolica, le procedure ortopediche e quelle di radiologia invasiva (quali la vertebro- e la cifo-plastica), e  l’inserimento di cateterini per il rilascio di farmaci per via spinale. Le linee-guida dell’OMS sono state recentemente integrate da quelle di altre istituzioni scientifiche, tra queste la European Association for Palliative Care (EAPC), che sta rimodulando le proprie indicazioni. Naturalmente il trattamento con oppioidi deve superare quelle che sono state storicamente le barriere ad una corretta gestione del dolore. Sono state suggerite ed identificate tre tipologie di barriere. In primo luogo, quelle legate alle istituzioni e alle normative: complicazioni burocratiche nella prescrizione dei farmaci oppioidi, non chiara distinzione fra le leggi legate alla necessità di contenere l’uso non terapeutico degli oppioidi e quelle che devono invece facilitarne l’uso terapeutico, e così via. In secondo luogo, si sono rilevate barriere legate ai professionisti: scarsa conoscenza dei meccanismi di azione di questi farmaci, eccessive preoccupazioni legate ad una insufficiente preparazione, incapacità di gestione degli effetti collaterali. Infine, sono state evidenziate barriere legate ai pazienti e ai loro familiari (timore della dipendenza psicologica, timore della assuefazione: i cosiddetti “falsi miti della morfina”), che possono essere combattute solo da una costante opera di formazione permanente e di educazione sanitaria.

Prof. Dino Amadori Direttore Scientifico Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) Meldola, Forlì

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