Patologie e Terapie

Il dolore cronico oncologico

dolore parto

Il Dolore Cronico Oncologico (DCO) ha caratteristiche di Sofferenza Globale, essendo costituito da componenti fisico-organiche, psico-sociali, esistenziali, e spirituali. Il DCO è caratteristicamente un tipo di dolore cronico, con connotati di automantenimento, impatto sulla funzionalità fisica e influenza sul tono dell’umore. Possono comunque essere presenti momenti di recrudescenza acuta, spontanei o, in caso di localizzazioni ossee, legati al movimento (dolore “incidente”). Il dolore è presente nel 50% dei pazienti oncologici in qualunque fase e nel 70% di quelli in fase avanzata di malattia. La frequenza del dolore è notevolmente più bassa nelle malattie tumorali ematologiche, ad eccezione del mieloma multiplo, nel quale il coinvolgimento osseo può essere motivo non raro di dolore e per le complicanze legate alla terapia antiblastica intensiva e dopo trapianto di cellule staminali.  In generale, il dolore nei pazienti oncologici nel 70% dei casi è legato in modo diretto o indiretto alla malattia di base, nel 20% alle terapie effettuate, e nel 5-10% è indipendente dalle une e dalle altre. Il DCO va rigorosamente rilevato e trattato con strumenti vari, i più semplici dei quali sono rappresentati da scale numeriche da 0 a 10, alle quali riferire il livello di dolore accusato nella giornata o in un determinato momento. Il DCO può risentire favorevolmente delle terapie contro la patologia tumorale che provoca dolore. Se infatti si ottiene una risposta della malattia alle terapie, evento quanto mai frequente in Ematologia, anche il dolore si riduce prontamente. Fortunatamente oggigiorno il trattamento del dolore si può giovare di numerosissimi farmaci antidolorifici e coadiuvanti, che devono essere in grado di gestire in modo soddisfacente fino al 90-95% dei pazienti, lasciando di riserva per i casi resistenti altri tipi di intervento. L’utilizzo dei farmaci segue, a tutt’oggi, strategie terapeutiche che si richiamano alla Scala Analgesica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che prevede un approccio farmacologico a tre gradini (Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei e paracetamolo, Oppioidi deboli, e Oppioidi Forti), con l’integrazione di molteplici farmaci adiuvanti che esplichino la loro diversa azione in base al meccanismo prevalente del dolore. I farmaci vanno assunti dai pazienti a orari fissi. Una terapia regolare è molto più efficace di quella assunta esclusivamente in caso di necessità (“al bisogno”). Gli oppioidi forti rimangono la pietra miliare del trattamento del DCO e, nei casi di dolori difficili, possono essere ruotati o anche essere associati fra loro, fino a trovare quello più adatto. In casi selezionati, può essere utile l’utilizzazione di metodiche antalgiche invasive anestesiologiche o di altra natura. In particolare, in un tipo di dolore molto particolare come quello legato alle localizzazioni ossee, è opportuno il confronto di più specialisti in quanto il dolore può essere affrontato con terapie diverse, quali la radioterapia, la terapia radiometabolica, le procedure ortopediche e quelle di radiologia invasiva (quali la vertebro- e la cifo-plastica), e  l’inserimento di cateterini per il rilascio di farmaci per via spinale. Le linee-guida dell’OMS sono state recentemente integrate da quelle di altre istituzioni scientifiche, tra queste la European Association for Palliative Care (EAPC), che sta rimodulando le proprie indicazioni. Naturalmente il trattamento con oppioidi deve superare quelle che sono state storicamente le barriere ad una corretta gestione del dolore. Sono state suggerite ed identificate tre tipologie di barriere. In primo luogo, quelle legate alle istituzioni e alle normative: complicazioni burocratiche nella prescrizione dei farmaci oppioidi, non chiara distinzione fra le leggi legate alla necessità di contenere l’uso non terapeutico degli oppioidi e quelle che devono invece facilitarne l’uso terapeutico, e così via. In secondo luogo, si sono rilevate barriere legate ai professionisti: scarsa conoscenza dei meccanismi di azione di questi farmaci, eccessive preoccupazioni legate ad una insufficiente preparazione, incapacità di gestione degli effetti collaterali. Infine, sono state evidenziate barriere legate ai pazienti e ai loro familiari (timore della dipendenza psicologica, timore della assuefazione: i cosiddetti “falsi miti della morfina”), che possono essere combattute solo da una costante opera di formazione permanente e di educazione sanitaria.

Prof. Dino Amadori
Direttore Scientifico Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la Cura dei Tumori (IRST) Meldola, Forlì

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