
I progressi della medicina moderna e tecnologica, hanno allungato la sopravvivenza dei pazienti affetti da patologie croniche progressive; nelle fasi avanzate di tali patologie è sempre più difficile identificare il confine fra terapie adeguate ed accanimento terapeutico e, a volte, capire se la sofferenza dei pazienti sia più legata alla patologia o agli effetti collaterali delle terapie.
Spesso in queste situazioni il dolore è il sintomo prevalente, forse anche quello che più facilmente può essere controllato con un’adeguata terapia, ma quasi mai esso si presenta da solo, ma piuttosto è associato ad una serie di problematiche fisiche e psicologiche che vengono definite come Dolore totale: la depressione legata alla perdita della posizione sociale, del guadagno e del proprio ruolo familiare, il senso d’inutilità, la dipendenza, l’alterazione dell’aspetto fisico, i problemi burocratici, gli amici che si allontanano, i ritardi diagnostici, le difficoltà di comunicazione con i medici, la delusione per le risposte insoddisfacenti ai trattamenti e infine l’inevitabile paura legata alla consapevolezza, più o meno espressa, della morte, costituiscono alcuni degli aspetti che possono determinare lo stato psicologico di questi malati.
Al dolore si associano altri sintomi che portano alla cachessia, come nausea e vomito, diarrea o stitichezza, disfagia per infezioni fungine o virali, incontinenza, prurito, insonnia, confusione mentale e molti altri.
In tutto questo quadro sintomatologico così complesso è sempre presente e via via ingravescente, la sindrome astenia-anoressia: questo ultimo aspetto del dolore totale è quasi sempre presente ed è certamente il più critico perchè determina una grave sofferenza del malato, che non riesce neppure a cambiare posizione nel letto autonomamente nè ad assumere alcun tipo d’alimento, ma nello stesso tempo, la progressione della malattia, non potendo essere risolta con le terapie, crea frustrazione ed angoscia non solo per il malato e la sua famiglia, ma anche per l’equipe curante.
In questi casi l’approccio della medicina tradizionale è quasi sempre destinato a fallire: i sintomi ed i segni sono importanti, attraverso di loro si può fare la diagnosi della malattia che diventa quindi l’oggetto ed il bersaglio dell’atto medico ma, in questi casi la diagnosi è chiara ed i sintomi sono così numerosi ed intricati da non poter essere trattati uno per volta, affrontando ogni peggioramento come se fosse un evento acuto, isolato, non collegato al precedente, alla situazione generale, e alla rapida evoluzione del quadro clinico che, in tempi più o meno rapidi, condurrà inevitabilmente alla morte.
Occorre cambiare radicalmente la strategia dei nostri interventi ed iniziare il percorso delle Cure Palliative che all’inizio si affiancheranno alle cure volte al controllo della progressione di malattia, ma diverranno poi, nella fase più avanzata, le uniche possibili per permettere ai malati ed alle loro famiglie di convivere meglio con la loro sofferenza ed essere accompagnati fino alla morte con dignità.
Il dolore totale è dunque un quadro complesso ed i vari sintomi che lo compongono sono percepiti in modo diverso e non possono essere interpretati oggettivamente dal medico. Da questo presupposto nascono e si sviluppano le Cure Palliative: portare al centro del percorso assistenziale il malato, dargli e darsi il tempo per valutare la sua sofferenza, instaurare una relazione terapeutica efficace per facilitare l’espressione delle sue volontà ed infine organizzare il percorso di cura più adeguato per quella persona, nel suo contesto ambientale e familiare, in quel momento della sua storia, non solo di malattia, ma della sua vita.
Oltre ad un’adeguata terapia farmacologica, i presupposti fondamentali per un efficace approccio al dolore totale sono riassumibili in 5 punti.
Ambiente di verità: non intesa come “verità burocratica” ma i curanti devono riconoscere i propri limiti, porsi obiettivi raggiungibili e proporre obiettivi condivisi con il malato e la famiglia. Ascolto: per dare e darsi il tempo, per capire, per agire o, a volte, per fermarsi se le terapie non sono utili.
Rispetto delle priorità del malato: queste possono anche cambiare nel corso dell’assistenza, ma in ogni caso, l’equipe curante deve adeguarsi.
Condivisione: come disposizione solidale per facilitare l’espressione delle scelte e per seguire il percorso scelto.
Tempo appropriato: per non farsi sorprendere dalla fase finale della malattia in cui tutto è più difficile.
Dott. Piero Morino
Direttore dell’Hospice Azienda USL 10, Firenze.