Quell’indimenticabile 21 giugno

    Mi chiamo Carlo Andrea, ho 50 anni e questa è una storia a lieto fine che racconto per incoraggiare tutti quelli che stanno lottando o lotteranno in futuro, a crederci sempre, perché guarire è sempre più possibile.

    LA SCOPERTA

    Iniziamo da quel 21 giugno 2014. Alle 6.30 di mattina mi presentai al Pronto Soccorso, consapevole che qualcosa non andava nel mio fisico, ma mai avrei immaginato che la mia vita sarebbe cambiata in maniera così netta.

    Da qualche settimana avevo mal di pancia, una stanchezza esagerata e negli ultimi giorni una sudorazione eccessiva al risveglio, a cui non avevo dato stranamente peso, nonostante fossi spesso tacciato dai miei amici di essere un ipocondriaco.

    Probabilmente avrei continuato ancora per un po’ a fare la mia vita di sempre, se non avessi avuto in programma una vacanza con la mia compagna in Sicilia. Partire in quelle condizioni era un rischio e decisi di non aspettare più.

    Me lo avevano suggerito anche i miei amici con cui ci eravamo trovati la sera prima a vedere la partita dei mondiali di calcio in Brasile Italia-Costarica.

    “Meglio andarci di mattina presto, così aspetto poco per il mio turno e poi ho tutto il sabato libero” è stato il primo pensiero di quel giorno.

    Le cose non andarono proprio così, anzi dall’ospedale (dopo una settimana mi trasferirono in ematologia presso un’altra sede) uscii solo dopo due mesi e per un breve periodo, al termine del primo ciclo di cure.

    Ricordo ancora quella stanzetta in cui due dottoresse ebbero l’ingrato compito di darmi la notizia. La prima domanda fu “C’è qualcuno con lei?” E non ci misi molto a capire che non era di buon auspicio. Poi il consiglio: “Si sdrai sul lettino, meglio se sta a riposo. Facciamo due telefonate e le diciamo tutto”.

    Leucemia Linfoide Acuta. Il resto lo potete immaginare. 


    LA PRIMA SERA

    Indimenticabile la prima serata passata in ospedale, quando come ultima notizia del radiogiornale alle 9 di sera, ascoltato per non pensare al resto, dissero che proprio il 21 giugno era la Gionata Nazionale contro le leucemie, i linfomi e il mieloma, promossa da AIL per condividere i progressi della ricerca scientifica ed essere vicina ai pazienti e alle loro famiglie.

    Io ero fra quelli, ma non riuscì ad esserne felice.

    Il colmo accadde la mattina dopo, quando la prima infermiera che entrò nella mia stanza, che si trovava al sesto piano, si infuriò perché la finestra non era stata sigillata e io l’avevo comodamente aperta in piena notte a causa del caldo e le mie condizioni. Non capii subito il perché si infuriò così tanto, poi ci arrivai e la tranquillizzai dicendole che, nonostante tutto, ero intenzionato a lottare e non consideravo l’ipotesi di buttarmi dalla finestra.

    LA REAZIONE

    La prima settimana è stata mentalmente la più difficile. Però, anche se grave, mi avevano dato un’opportunità e non potevo farmela sfuggire.

    C’erano troppe persone che avevano ancora bisogno di me a cominciare da mio figlio.

    Ce l’ho messa tutta per raggiungere la meta e dare una grande gioia a chi mi ha sostenuto durante tutto il percorso delle cure.

    A cominciare dalla mia compagna che si è fatta in quattro per starmi il più vicino possibile e a mio padre che, nonostante acciacchi, non ha mai mancato di venirmi a trovare tutte le mattine.

    Senza dimenticare medici e infermieri che sono stati eccezionali e hanno dato l’anima per salvarmi.

    Un percorso che nel mio caso è stato anche un’occasione di crescita e che mi ha fatto conoscere come il mondo sia fatto di persone piene di valori. Mi riferisco anche ai volontari AIL che tutte le mattine entravano nella mia stanza e riuscivano a farmi sorridere anche quando non ne avevo voglia.

    IL TRAPIANTO

    L’ultimo step era il trapianto.

    La sera del 13 gennaio 2015 è arrivato il midollo dal mio donatore, una donna statunitense di Minneapolis che non potrò mai ringraziare di persona, ma a cui devo la vita.

    Non sapevo se era più la gioia o la paura per quello che mi aspettava. Il destino però era dalla mia parte e mi ha aiutato anche a superare le insidie del trapianto.

    L’emozione di tornare a casa è stata qualcosa di indescrivibile, anche se ancora per parecchio tempo avrei dovuto convivere con medicine e controlli.

    Adesso, a distanza di quattro anni, mi considero una persona fortunata, perché nel momento del bisogno ha trovato tutte le condizioni ideali per uscirne vittorioso. Un capitano che è arrivato vittorioso alla fine del giro, perché sulla sua strada aveva incontrato i gregari giusti.

    Purtroppo non è stato così per tutti ed è a loro che penso spesso prima di addormentarmi.

    Sei anche tu un combattente?

    Raccontaci la tua storia